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Partita la fase uno dei bandi Tav, ora la palla passa al presidente del Consiglio italiano: riuscirà Giuseppe Conte a bloccare la fase due, quella che fra sei mesi darà il via ai primi appalti per il grande buco nella montagna? Intanto ha annunciato che incontrerà il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker.
Che cosa dirà a Macron? Ha già accennato alla asimmetria dei finanziamenti tra Italia e Francia. Una sproporzione ben documentata anche dalla “Relazione tecnico-giuridica” dell’11 febbraio 2019, firmata dall’avvocato dello Stato Pasquale Pucciariello.
A pagina 39, la “Relazione” riporta due tabelle molto istruttive. La prima dà conto della “ripartizione dei costi prevista dall’Accordo del 2012”, cioè il trattato sul Tav tra Italia e Francia che rinnova e completa (senza abrogarli) i trattati precedenti, a partire da quello firmato nel 1996 a Parigi. Il “costo complessivo dell’intervento”, cioè il tunnel di base che è il cuore del Tav, è di 9,63 miliardi di euro.
Così ripartiti, mostra la tabella: 5,57 pagati dall’Italia, 4,05 dalla Francia. L’Italia si ritrova dunque a pagare il 58 per cento del tunnel di 57,5 chilometri, che però è solo per il 21 per cento (12,5 chilometri) in territorio italiano, mentre è per il 79 per cento (45 chilometri) in territorio francese. Risultato: l’Italia paga la galleria 280 milioni a chilometro, la Francia soltanto 60 milioni.
L’asimmetria è confermata anche nella ripartizione delle spese per comprare ed espropriare i terreni e rimuovere le interferenze. La tabella riportata nella “Relazione” cita dati del Cipe: la quota dell’Italia è di 172,24 milioni di euro, quella della Francia di soli 136,72 milioni. Se si considera che il Cipe nel 2017 ha autorizzato altri 57,26 milioni, il totale dell’Italia tocca quota 229,50.
Non è che i francesi non si siano accorti del regalo. Lo hanno rilevato nella “Enquete d’utilité publique”, procedura che analizza i lavori pubblici e valuta la loro utilità (una sorta di analisi costi-benefici). Ebbene, sul Tav conclude esprimendo perplessità sull’utilità dell’opera, ma valuta infine che possa comunque valere la pena di farla, perché tanto paga l’Italia: “L’operazione è positiva per la Francia, in ragione del fatto che l’Italia si accolla la più parte dei costi”.
Da dove nasce questa disparità? Quando si trattò di definire le quote, l’Italia accettò un maggior impegno nel tunnel base, perché i francesi hanno – anzi avevano – molte più spese per il loro tratto nazionale, dallo sbocco del tunnel di base fino a Lione, che comprende anche due costosi tunnel a due canne, quello di Belledonne e quello di Glandon.
Avevano: perché nel gennaio 2018 è stata presa in Francia una decisione che ribalta gli accordi: il Coi (Conseil d’orientation des infrastructures) ha deciso di rimandare le opere del tratto francese a dopo il 2038. È scritto a pagina 77 del rapporto sulla mobilità francese: “Non è stata dimostrata l’urgenza di intraprendere questi interventi, le cui caratteristiche socioeconomiche appaiono chiaramente sfavorevoli in questa fase. Sembra improbabile che prima di dieci anni vi sia alcun motivo per continuare gli studi relativi a questi lavori che, nel migliore dei casi, saranno intrapresi dopo il 2038”.
Un rinvio alle idi di marzo, o alle calende francesi. Intanto l’Italia paga subito di più il tunnel di base, facendo così da banca alla Francia, che restituirà la cortesia – forse – facendo i suoi lavori compensativi dopo il 2038. “Nel migliore dei casi”.
A questi argomenti, nella trattativa con la Francia, Conte potrà aggiungere quello della violazione da parte di Parigi dell’articolo 16 del Trattato del 2012. Dice che “la disponibilità del finanziamento sarà una condizione preliminare per l’avvio dei lavori delle varie fasi della parte comune italo-francese della sezione internazionale”.
Ebbene, questa “condizione preliminare” non è soddisfatta, perché la Francia non ha reso finora disponibile neppure un centesimo per la fase iniziata ieri 11 marzo, con il lancio dei primi bandi per il tunnel. L’Italia ha già messo sul piatto 2,63 miliardi, assegnati dalla legge di stabilità 2013 (governo Monti) e approvvigionati in quote annuali nel bilancio dello Stato tra il 2015 e il 2027. L’Unione europea per il tunnel ha messo a disposizione 0,57 miliardi.
La Francia zero: non ha ancora deciso alcuna programmazione futura su base pluriennale per i finanziamenti del traforo, neppure attraverso l’agenzia pubblica Afitf (Agence de financement des infrastructures de transport de France).
Il ministro dei trasporti Elisabeth Borne ripete che gli stanziamenti ci sono. Ma proprio non si vedono: la legge di finanziamento ora in discussione nel Parlamento francese fa riferimento a opere pubbliche in generale e non ha cifre stanziate espressamente per la Torino-Lione, che anzi nella relazione del Coi è qualificata come “opera non prioritaria”.
Strano sovranismo quello di casa nostra, che reclama sovranità in generale, ma poi non riesce a chiedere conto alla Francia dei conti del Tav, tutti sbilanciati.
Lanciate le prime gare Tav
In videoconferenza tra Roma e Parigi, i dieci membri del consiglio d’amministrazione di Telt (la società pubblica italo-francese che ha il compito di realizzare la nuova linea Torino-Lione) hanno dato il via libera alla pubblicazione degli “avis de marchés”, gli inviti a presentare candidature per la realizzazione della parte francese del tunnel di base. Si sono pronunciati all’unanimità, i cinque nominati dal governo italiano e i cinque indicati da quello francese.
Parte così, dopo molte polemiche, la prima fase della gara Tav da 2,3 miliardi di euro. Non andrà perso il finanziamento europeo di 300 milioni che l’Unione europea aveva minacciato di sospendere se la procedura non fosse partita entro il 31 marzo.
La seconda fase, con i capitolati dell’appalto, partirà tra sei mesi, solo dopo che i governi italiano e francese avranno confermato l’impegno a realizzare l’opera. Se la conferma italiana non arriverà, la procedura potrà essere bloccata, ha avvisato ieri in una nota la società.
Il blocco, secondo il codice degli appalti francese, è possibile per qualunque gara, purché sia però motivato in nome dell’“interesse generale”. In questo caso per l’Italia sarebbe stato arduo, se non impossibile, dimostrare unilateralmente l’“interesse generale”.
Per questo il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, ha ottenuto che l’interruzione della gara possa eventualmente avvenire senza necessità di motivazione. E che l’Italia possa “non dare seguito in ogni momento alla procedura, senza che ciò generi oneri per la stessa stazione appaltante”, cioè Telt, “né per i due Stati”, Italia e Francia. Intanto Conte si è impegnato a ridiscutere il progetto con la Francia e con l’Unione europea.
“Spero che i nostri amici italiani valutino il progetto Tav e restino impegnati”, ha detto il commissario agli affari economici Pierre Moscovici. “Dire che questo progetto è negativo è un errore, è un grande progetto strutturale, importante per la Unione europea, per la Francia e per l’Italia, motivo per cui sono stati decisi importanti finanziamenti europei”.
Gli fa eco il ministro dei trasporti francese, Elisabeth Borne: “Come la Francia aveva auspicato, il consiglio d’amministrazione di Telt ha lanciato gli avvisi di richiesta delle candidature, necessari per il proseguimento del cantiere. È una tappa positiva nell’interesse del progetto Torino-Lione. Il lancio permette la prosecuzione del progetto, la conservazione dei finanziamenti europei e garantisce il rispetto del tempo di riflessione chiesto dal governo italiano”.
Il ministro delle infrastrutture italiano, Danilo Toninelli, ha ribadito invece che è un’opera “che i tecnici, senza alcun pregiudizio, dicono essere fortemente negativa. È una scelta fatta tanti anni fa, una scelta politica sbagliata, perché l’opera ci costa più dei benefici che potrà dare”. Tutt’altra lettura della decisione per Matteo Salvini: “La Tav andrà avanti, i bandi partono”.
Quello di ieri è l’atto finale di un braccio di ferro iniziato negli ultimi mesi del 2018. Il direttore generale di Telt sas (Tunnel Euralpin Lyon-Turin), Mario Virano, era già allora pronto a lanciare le gare. Una lettera del 3 dicembre 2018, firmata da Toninelli e Borne, gli chiedeva di aspettare la pubblicazione dell’analisi costi-benefici. Resa pubblica l’analisi del gruppo guidato dal professor Marco Ponti, Virano ha fissato il consiglio d’amministrazione di Telt per il 19 febbraio 2019.
Toninelli è riuscito in quella data a fermare il lancio dei bandi, mentre l’Unione europea minacciava l’Italia di togliere parte dei finanziamenti se le gare non fossero partite entro il 31 marzo. Ieri, riconvocato il consiglio d’amministrazione, Telt ha avviato la prima fase della gara.