Le vacanze (e la Spazzacorrotti) portano in cella il Celeste
La Madonna non ha fatto il miracolo
La Madonna non ha fatto il miracolo. L’avevano invocata e pregata, sabato scorso, gli amici di Roberto Formigoni in attesa della sentenza definitiva, quella della Cassazione, che ora gli apre le porte del carcere. Si erano riuniti nel Santuario mariano di Caravaggio, per la recita del rosario e la partecipazione alla messa delle 16. La Madonna ha disposto diversamente, perché ieri alle 20 la sentenza è arrivata ed è stata di conferma della condanna, pur con pena ridotta da 7 anni e mezzo a 5 anni e 10 mesi.
La Madonna ha forse ascoltato il prorettore del Santuario, don Cesare Nisoli, che aveva risposto picche agli amici di Formigoni che chiedevano che a celebrare la messa fosse monsignor Luigi Negri, vescovo emerito di Ferrara e ciellino: “L’iniziativa non è stata concordata con la direzione del Santuario”, aveva risposto don Nisoli, “io non posso permettere che la preghiera diventi uno strumento politico per Formigoni: la messa delle 16 è e resta la messa festiva della comunità cristiana che si riunisce in Santuario, senza particolari connotazioni e intenzioni”.
Così, con uno screzio con il Santuario (che ha pubblicato sul suo sito un duro comunicato) si conclude la storia politica e giudiziaria dell’uomo che è stato per 18 anni, dal 1995 al 2013, presidente della Regione Lombardia e ora dovrà scontare la sua pena: è stato definitivamente ritenuto colpevole di corruzione, per aver incassato negli anni almeno 6 milioni di euro da Pierangelo Daccò e Antonio Simone, lobbisti della sanità privata e rappresentanti della Fondazione Maugeri e del San Raffaele.
Non tangenti, ma “benefit”: viaggi, vacanze, yacht, cene, regali, uno sconto sull’acquisto di una villa in Sardegna… Un “imponente baratto corruttivo”, secondo l’accusa. Ringraziamenti per aiuti alla sanità privata del valore di almeno 60 milioni di denaro pubblico.
Formigoni, 71 anni, ha iniziato la sua corsa nel 1975, quando fonda il Movimento popolare, braccio politico di Comunione e liberazione dentro la Democrazia cristiana. Tramontata la Prima Repubblica, i voti di Cl vanno in dote a Forza Italia. Ma Formigoni, con il suo tesoretto di consensi ciellini, è sempre al vertice di un centro di potere autonomo, che si afferma soprattutto nel settore della sanità. Il Modello Formigoni equipara, in Lombardia, la sanità privata e quella pubblica, facendo crescere enormemente la prima, sempre a spese del pubblico.
Così le foto estive sugli yacht forniti da Pierangelo Daccò, il lobbista della Maugeri, entrano a far parte dell’album dei ricordi della Seconda Repubblica, come le sue giacche arancioni o le sue magliette vistose. Ha voluto costruire anche la sua piramide a imperitura memoria della sua gloria: il nuovo grattacielo della Regione, che subito qualcuno ha ribattezzato il “Formigone”. Al trentacinquesimo piano il suo splendido ufficio, che il Celeste si vantava di illuminare con diversi colori, dal rosso al verde al blu, a seconda del suo umore.
Ma le piramidi non portano bene: una volta concluso, l’ha dovuto abbandonare, travolto dall’ennesimo scandalo, quello di un suo assessore che aveva comprato i voti dalla ’ndrangheta. Negli anni precedenti era stato indagato più volte. Sempre prosciolto, fino al caso Maugeri. Eppure l’inchiesta “Oil for food”, sulle forniture petrolifere concesse dall’Iraq di Saddam a imprese vicine a Cl, rivela una fitta rete di società e di conti all’estero riferibili agli uomini a lui vicini.
E sfiora una misteriosa fondazione lussemburghese, Memalfa, che è la cassaforte dei Memores Domini, il gruppo dei laici consacrati di Cl a cui appartiene e in cui si entra con i voti di povertà, castità e obbedienza. Che le foto sugli yacht stonassero con quei voti è ormai acqua passata.
In un’intervista del 1997, confessa: “Da piccolo volevo fare il pilota di Formula 1 o il collaudatore di vacanze: andare in giro in posti bellissimi ed essere pagato per questo”. Sogno realizzato, a giudicare dalla sentenza: l’ha fatto, il “collaudatore di vacanze”, andando “in posti bellissimi” senza scucire un euro per quasi un decennio. (Il Fatto quotidiano, 22 febbraio 2019)
Il Celeste in carcere, colpa della Spazzacorrotti
L’umore: “Buono”. Roberto Formigoni “è sereno”. Lo garantisce il suo avvocato, Mario Brusa, che lo segue da tanto tempo. È entrato nel carcere di Bollate, alle porte di Milano, alle 10 di ieri, 22 febbraio 2019, a bordo di una Bmw grigia. Ha varcato i cancelli, è sceso dall’auto nel cortile interno, si è diretto a piedi verso l’ufficio matricola, dove ha declinato le sue generalità. Poi ha consegnato i suoi effetti personali, che saranno custoditi nell’apposito ufficio, si è sottoposto alla visita medica generale e ha incontrato gli educatori e lo psicologo del carcere per il primo colloquio.
Un’ora prima, i carabinieri della sezione catturandi avevano suonato alla porta della sua abitazione milanese, per consegnargli l’ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale e firmato dal sostituto procuratore generale Antonio Lamanna.
Formigoni non c’era. Si è subito dopo costituito a Bollate, mentre i suoi avvocati presentavano alla Procura generale della Repubblica di Milano una richiesta di sospensione dell’ordine di carcerazione. Con due argomentazioni. La prima sostiene che l’arresto non va eseguito perché il decreto Spazzacorrotti ha un effetto sostanziale e non solo procedurale, dunque – spiega l’avvocato Brusa – non può essere applicato a reati commessi prima della sua entrata in vigore.
La seconda dice che l’obbligo di far entrare in carcere anche persone che hanno più di 70 anni d’età – come previsto dalla Spazzacorrotti – potrebbe avere profili d’incostituzionalità, perché per la Carta costituzionale la pena deve avere effetti rieducativi, ma dopo quell’età la cella è solo punitiva.
Sì, l’ingresso in carcere di Formigoni, condannato in via definitiva a 5 anni e 10 mesi, è il primo effetto clamoroso del decreto voluto dai Cinquestelle contro la corruzione: niente pene alternative, niente arresti domiciliari, niente affidamento ai servizi sociali a chi è condannato, con una pena sopra i 2 anni, per reati che hanno a che fare con la corruzione; e, per gli stessi reati, obbligo di entrare in cella anche per chi ha già compiuto i 70 anni d’età.
La Procura generale ha già espresso la sua intenzione di dare un parere negativo alla richiesta dei difensori e ha passato la loro istanza alla Corte d’appello, perché ritiene che quello degli avvocati di Formigoni sia un “incidente di esecuzione”, che ha bisogno di una decisione di merito e non solo di procedura. Sarà dunque un collegio di giudici a sentenziare: la quarta sezione penale della Corte d’appello milanese.
Se riterrà la Spazzacorrotti valida anche per Formigoni, le porte del carcere resteranno chiuse. Perché quel decreto ha inserito la corruzione tra i reati “ostativi” (come quelli di mafia, quelli associativi, gli omicidi, i reati sessuali gravi eccetera): “ostativi” a ottenere pene alternative. Così non può più scattare neppure il cosiddetto “comma Previti”, che permise al senatore Cesare Previti, amico e avvocato di Silvio Berlusconi, condannato per corruzione in atti giudiziari, di uscire di cella e ottenere comunque gli arresti domiciliari, benché con una pena superiore a 3 anni: in forza del fatto che aveva più di 70 anni d’età.
In cella, maturano comunque gli sconti di pena: 45 giorni ogni 6 mesi. Quindi dopo che Formigoni avrà scontato 1 anno e 6 mesi, la sua pena residua sarà scesa sotto i 4 anni, dunque potrà chiedere di uscire dal carcere e terminare l’espiazione in affidamento ai servizi sociali. Affidamento non automatico, però, per effetto della Spazzacorrotti: dovrà dimostrare la sua piena collaborazione con la giustizia.
Rivendica il merito Roberta Lombardi, ex deputata Cinquestelle e oggi capogruppo M5S nel Consiglio regionale del Lazio: “Formigoni va in carcere per corruzione”, scrive via Twitter, “per aver alimentato un vero e proprio business sulla salute dei cittadini usata come merce di scambio per il proprio consenso politico. Ecco i primi effetti della legge M5S Spazzacorrotti. Ecco il governo del cambiamento che ci piace”.
Rincara la dose il sottosegretario Stefano Buffagni: “Questo governo ha dichiarato guerra alla corruzione. Guerra a un cancro che prosciuga l’Italia da decenni, perpetrato da una politica corrotta, da clientele, amici di amici, appalti e favori. Da oggi in Italia c’è un governo che usa il pugno duro, durissimo”.
Lunghissimo l’elenco dei politici che esprimono solidarietà al Celeste, con affermazioni che vanno dal “condannato senza prove” (Fabrizio Cicchitto, P2) al “non si condanna una storia” (diventato il claim postato sui social network dagli amici di Formigoni).
“Il carcere è duro per tutti”, commenta il cappellano di Bollate, don Fabio Fossati, “ma per chi arriva da un certo mondo il primo giorno è durissimo. Però l’ho visto tranquillo. Avremo modo di conoscerci”. (Il Fatto quotidiano, 23 febbraio 2019)
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