Piccola impresa, grandi opere. Cosa vogliono “Quelli del sì”
Un pezzo del “partito del pil” ha manifestato ieri, 13 dicembre 2018, a Milano. Sono i piccoli imprenditori di Confartigianato, che si sono autoproclamati “Quelli del sì”: si ritengono la gran parte del mondo produttivo italiano, “visto che le grandi imprese”, secondo il presidente Giorgio Merletti, “sono diventate rare come le particelle di sodio nella pubblicità di una famosa acqua minerale”. Dicono di rappresentare le istanze di 4,4 milioni di piccole imprese con 10,8 milioni di addetti, il 65 per cento di tutti gli occupati delle imprese italiane. Si schierano contro “il partito dei no”, scegliendo simbolicamente otto grandi opere a cui dire sì (Tav Torino-Lione, naturalmente, poi galleria del Brennero, Pedemontana lombarda e veneta, terzo valico dei Giovi, sistema stradario siciliano, Tav Napoli-Bari, passante di Bologna).
“Sentiamo un vento contrario alle infrastrutture e alle connessioni e per questo abbiamo rinunciato a una giornata di lavoro per venire a Milano a manifestare”: così scandisce Merletti, che si presenta sul palco con una felpa che evoca altre felpe e su cui ha fatto stampare il logo di Confartigianato. “Non facciamo politica”, ripete, “ma al governo ora vogliamo lanciare un segnale”. I suoi fanno in gran parte riferimento alla Lega. Ma la Lega dei governatori, di Luca Zaia, di Roberto Maroni. E ora sono allarmati per l’alleanza di Matteo Salvini con i Cinquestelle.
“Sì, Zaia è vicino alle nostre imprese”, spiega il presidente di Confartigianato veneta Agostino Bonomo, “Salvini invece non è ancora venuto in Veneto”. Sono i Cinquestelle il “partito del no”? Merletti, sceso dal palco, prova ad addolcire i toni: “Ricordo i contatti con quel cafone di Matteo Renzi, almeno Luigi Di Maio è persona educata, ascolta le nostre richieste. E da ministro dello sviluppo economico ha convocato il tavolo delle piccole e medie imprese, come non avveniva dal 2011”.
Ma nella vasta sala dell’enorme centro congressi Mi Co di Citylight – esempio plastico di grande opera sottoutilizzata, un quarto d’ora di cammino in saloni deserti e su infinite scale mobili per arrivare all’auditorium – i sì sono per le infrastrutture, le connessioni (“lente come la giustizia civile”), la banda larga, la flat tax, la compensazione diretta tra tassazione e crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione, l’autonomia delle Regioni e finanche della Province da far rinascere.
Sì anche alla riforma del codice degli appalti, con una soglia per gli affidamenti diretti, senza gara, a 100 milioni (ora è a 40). “Lo abbiamo chiesto a Salvini e lui ci ha detto: facciamo 200. Ma è il mercato delle vacche? Poi però vogliamo vedere che cosa decidono davvero”. Sì (a sorpresa?) anche all’Europa: “Pur con tutti i suoi difetti, la moneta unica ci protegge dalla finanza globale”. Sottintesi, ci sono anche i no: alla burocrazia che raddoppia i tempi delle opere; all’eccessivo costo dell’energia; all’assistenzialismo – leggi reddito di cittadinanza e ancor più pensione di cittadinanza. “Ma siamo matti? Perché premiare chi non produce? Dobbiamo invertire il processo: prima creare reddito, poi distribuirlo”.