Di Matteo: “La prescrizione va riformata, regala impunità ai potenti”
La direzione è giusta, anche se si potrebbe fare meglio. Così il magistrato antimafia Nino Di Matteo commenta la proposta del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di sospendere dopo la sentenza di primo grado il decorrere dei tempi che azzerano i processi per prescrizione. “Qualcuno, anche tra i magistrati, ha cambiato opinione. Io resto dell’idea che vada realizzata una seria riforma della prescrizione”.
Per quali motivi?
In Italia c’è la sostanziale impunità di molti reati che riguardano la pubblica amministrazione e la corruzione. La stragrande maggioranza di questi processi si conclude con la dichiarazione di intervenuta prescrizione. Questo è molto grave. Perché il fenomeno corruttivo s’intreccia con i reati delle organizzazioni criminali e dunque finisce per favorire le mafie. Poi perché così mortifichiamo le attese dei cittadini che si aspettano che la pubblica amministrazione sia condotta secondo i criteri stabiliti dalla Costituzione, cioè il buon andamento e l’imparzialità. Questa impunità crea una giustizia a due velocità, efficace e a volte addirittura spietata con i deboli, invece con armi completamente spuntate nei confronti dei delitti dei colletti bianchi.
Molti critici sostengono che la riforma va nella direzione “giustizialista” di imbarbarire il sistema giudiziario, tenendo i cittadini sotto processo per tempi irragionevoli.
Non condivido questa impostazione. L’istituto della prescrizione trova fondamento nel venir meno, con il passare del tempo, dell’interesse dello Stato a punire determinate condotte. E allora nel momento in cui lo Stato, con la richiesta di rinvio a giudizio, esercita l’azione penale dimostrando di non aver perso quell’interesse, il decorso della prescrizione dovrebbe bloccarsi per sempre.
Non c’è il rischio, così, di rallentare la giustizia e di finire per allungare i tempi dei processi?
Sono convinto del contrario. Anche perché verrebbe meno l’interesse di molti imputati a utilizzare tecniche processuali ostruzionistiche e dilatorie, proprio per puntare alla prescrizione. Il giusto principio della ragionevole durata del processo, poi, può essere garantito in altri modi. Una seria depenalizzazione di reati lievi e bagatellari. Un significativo rafforzamento delle risorse per la giustizia: più magistrati, più cancellieri, più personale per la giustizia. E uno snellimento di alcuni passaggi del rito accusatorio penale che appesantiscono inutilmente il dibattimento.
Qualche anno fa, un avvocato al termine di un importante processo ha gridato tre volte davanti alle telecamere “Assolto! Assolto! Assolto!”. Invece Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio, era stato non assolto, ma prescritto. Quell’avvocato era Giulia Bongiorno e ora è al governo.
Al di là dell’espressione utilizzata allora da quell’avvocato, ancora oggi quella sentenza viene spacciata per una assoluzione completa, mentre invece furono dimostrati fatti di grave collusione tra Andreotti e Cosa nostra, fino al 1980: ma per quei fatti è intervenuta la prescrizione.
Se le cifre sono esatte, soltanto il 20 per cento dei processi si prescrive dopo il primo grado. La riforma proposta dunque non salverebbe l’80 per cento dei processi che si prescrivono in Italia.
Non dobbiamo ragionare soltanto in termini statistici. La recente storia giudiziaria ci insegna che molti politici e colletti bianchi sono stati salvati dalla prescrizione proprio in appello o in Cassazione. Io ritengo che la proposta di riforma vada nella direzione giusta. Ma poi ripeto: potrebbe diventare più incisiva bloccando la prescrizione al momento della richiesta di rinvio a giudizio. Quello che oggi più mi stupisce è la serie di perplessità avanzate da chi per anni ha condiviso le ragioni che sto esponendo e ora improvvisamente sembra aver cambiato idea. Negli ultimi anni, queste posizioni sono state espresse e condivise anche da molti magistrati, a volte pure rappresentanti della magistratura negli organi associativi. Sarebbe grave se il ripensamento di molti fosse in realtà frutto del non gradimento verso la forza politica che oggi propone la riforma. La mia non è una provocazione: io sono soltanto coerente con quello che ho sempre pensato e detto, in funzione di una lotta efficace al sistema mafioso e al sistema della corruzione. Se questa lotta finalmente acquistasse in futuro dignità di obiettivo primario della politica, dovremmo tutti esserne felici, a prescindere dal colore del governo.