Bazoli (indagato) parla con il presidente Mattarella. Intercettazioni distrutte
La procedura è stata avviata dalla Procura di Bergamo in maniera molto riservata, senza che la notizia neppure filtrasse fuori dal palazzo di giustizia. Al termine, secondo la legge, il gip, su richiesta del pm, ha disposto la distruzione delle registrazioni di alcune intercettazioni telefoniche in cui era rimasta impigliata la voce del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Proprio come nel 2013 era già accaduto per le telefonate tra il suo predecessore al Colle, Giorgio Napolitano, e Nicola Mancino, allora indagato nell’inchiesta di Palermo sulla trattativa Stato-mafia.
Secondo quanto il Fatto quotidiano ha potuto ricostruire, nel 2015 a chiamare il Quirinale, dove era appena arrivato Mattarella, era stato Giovanni Bazoli, allora presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo. In quei mesi era sotto indagine per il suo ruolo in Ubi Banca: il pubblico ministero di Bergamo Fabio Pelosi stava conducendo un’inchiesta sui vertici del terzo istituto di credito italiano, ipotizzando i reati di ostacolo alla vigilanza, per aver tenuto nascosto a Banca d’Italia e Consob un (supposto) patto occulto che ha garantito ai due gruppi che avevano fatto nascere Ubi – quello bresciano capitanato da Bazoli e quello bergamasco guidato da Emilio Zanetti – il dominio sull’istituto di credito.
Secondo l’ipotesi d’accusa, i bresciani dell’“Associazione Banca lombarda e piemontese” presieduta da Bazoli e i bergamaschi “Amici di Ubi” guidati da Zanetti avrebbero stretto un patto raffinatissimo che ha permesso ai due gruppi fondatori di decidere tutte le cariche sociali e di spartirsele negli anni, alternandosi al comando e tenendo fuori gli altri azionisti. I due gruppi sarebbero arrivati – sempre secondo l’accusa – fino a truccare le carte che hanno loro permesso di vincere nell’assemblea dei soci dell’aprile 2013, quando si erano presentate due liste “estranee” a insidiare i consolidati equilibri garantiti nella banca dal patto tra bresciani e bergamaschi.
L’ipotesi d’accusa è stata ritenuta finora credibile dal gip, che ha rinviato a giudizio trenta imputati, tra cui Bazoli e gli attuali vertici di Ubi (dall’amministratore delegato Victor Massiah ai presidenti Andrea Moltrasio e Franco Polotti, fino ai vicepresidenti Mario Cera, Flavio Pizzini e Armando Santus).
Il processo prenderà il via a Bergamo proprio domani, lunedì 17 settembre. Ma nel 2015 l’inchiesta era ancora in corso, anche con pedinamenti e intercettazioni telefoniche, e l’11 febbraio di quell’anno il nucleo valutario della Guardia di finanza aveva compiuto una serie di clamorose perquisizioni negli uffici di Ubi e di altre società coinvolte nella vicenda. Bazoli aveva reagito dichiarando, allora come oggi, la sua “totale estraneità ai fatti”, ma certo poteva avere qualche motivo di preoccupazione per l’indagine che era arrivata a coinvolgerlo al culmine della sua lunga carriera. Ma nelle sue telefonate intercettate non parlava soltanto del suo ruolo in Ubi. Era in corso l’ultima battaglia di via Solferino per il controllo del Corriere e il presidente di Intesa, grande azionista di Rcs-Corriere della sera, era molto attivo per guidare la partita, che poi finirà nel 2016 con la vittoria di Urbano Cairo, l’editore di La7.
Fra le tante telefonate di Bazoli, durante l’indagine Ubi sono state registrate anche quelle da lui fatte a Mattarella, arrivato a sostituire Napolitano al Quirinale proprio nel febbraio 2015. Impossibile conoscere il contenuto delle conversazioni, mai trascritte e ora distrutte. Ma sappiamo che il presidente Mattarella ha ricevuto Bazoli al Quirinale il 27 marzo 2015, emettendo al termine dell’incontro uno stringato comunicato che dice: “Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto oggi al Quirinale il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli”. E sappiamo che a mediare l’incontro fu il precedente inquilino del Quirinale, Giorgio Napolitano.
Ce lo dicono le telefonate intercettate nelle stesse settimane tra lui e Bazoli. Un brogliaccio della Guardia di finanza del 19 marzo 2015 riporta: “Napolitano dice che, come gli aveva anticipato, aveva fissato un incontro con il presidente (Mattarella) per alcuni argomenti urgenti per cui ha colto l’occasione per rappresentargli la situazione”. Nei brogliacci si legge ancora: “Napolitano specifica di aver fatto riferimento (con Mattarella, ndr) anche al dialogo di questi anni tra loro (e cioè tra Napolitano e Bazoli, ndr) e prima ancora con Ciampi. Napolitano dice che questi (Mattarella) ha apprezzato, e ha detto che considera naturale avviare uno stesso tipo di rapporto ‘schietto’, informativo e di ‘consiglio’. Napolitano suggerisce di formulare, attraverso la segreteria, una richiesta di incontro che sicuramente accetterà. Bazoli dice che lo cercherà per i canali ufficiali nei prossimi giorni. Napolitano dice speriamo bene, anche perché ha sentito fare un nome ‘folle’, ovvero di quel signore che si occupa o meglio è il factotum de La 7”. Il riferimento è evidentemente a Urbano Cairo. L’incontro al Colle, richiesto “per i canali ufficiali”, avverrà otto giorni dopo, come documentato dal comunicato del Quirinale.
In una conversazione precedente, dell’aprile 2014 (già resa nota in passato dal settimanale Panorama), Bazoli diceva di aver avuto un incontro “al Colle”, allora occupato dal presidente Napolitano. “Io gli ho chiesto espressamente”, dice il brogliaccio, “ed ho avuto da lui l’assicurazione che quantomeno fino alla fine dell’anno lui rimane”. Poi, a febbraio 2015, “al Colle” arriva Mattarella e il “rapporto ‘schietto’, informativo e di ‘consiglio’” prosegue, grazie alla mediazione di Napolitano, con il nuovo inquilino del Quirinale. Molto più cauto, però, e meno interventista del suo predecessore. Le telefonate con Bazoli potrebbero riguardare l’incontro del 27 marzo 2015. Secondo la legge, sono state distrutte.