Arriva la legge “spazza-corrotti”
Come funzionerà l’agente sotto copertura. Intervista a Franco Roberti.
Finalmente, sospira Franco Roberti, ex procuratore nazionale antimafia e ora assessore alla legalità della Regione Campania. “L’introduzione della figura dell’agente sotto copertura nelle indagini per corruzione è un grosso passo avanti nella lotta contro l’illegalità nella politica e nella pubblica amministrazione”. È la novità forse più rilevante del nuovo disegno di legge anti-corruzione annunciato dal leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio alla Festa del Fatto quotidiano e confermato dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che lo definisce “una riforma rivoluzionaria”.
Dottor Roberti, chi è l’agente sotto copertura e come opererà?
È un ufficiale di polizia giudiziaria dotato di professionalità specifica, che si infiltra all’interno di una trama corruttiva per scoprirla e bloccarla. Entrato con una falsa identità in un ambito in cui si sta compiendo un reato, osserva, rileva, registra e riferisce al pubblico ministero ciò che si sta commettendo. Raccoglie elementi di prova in relazione a un reato già in atto, che osserva durante la sua realizzazione. Lo fa con l’autorizzazione del pubblico ministero e sotto il costante controllo del pm, che è e resta colui che dirige le indagini. È uno strumento investigativo nelle mani del magistrato, molto efficace nella lotta contro la corruzione.
È una novità che qualcuno attendeva da tempo, ma che molti temono.
Non è una novità assoluta. L’agente sotto copertura – undercover, dicono gli americani – è già previsto non soltanto all’estero, ma anche in Italia nel contrasto al traffico di droga, al traffico di armi, al riciclaggio, alla pedopornografia, al traffico illecito di rifiuti. Già ora, per esempio, come previsto dalla convenzione di Lanzarote del 2009, la polizia giudiziaria, con l’autorizzazione e il controllo del pm, può mettere in rete, nel cosiddetto deep web, materiale pedopornografico o può fingersi acquirente di foto e video illegali, al fine di smascherare chi compie il reato di pedopornografia.
Della possibilità di utilizzare l’agente sotto copertura anche nelle indagini di corruzione si parlava da tanto tempo, anche sulla spinta di organismi internazionali.
Sì, lo aveva già previsto la Convenzione di Palermo delle Nazioni unite nel 2000. Ce lo chiedeva la Convenzione Onu di Merida del 2003. Ed era appunto già previsto anche nel nostro ordinamento per i reati più gravi.
Eppure finora non era stato introdotto. Perché?
Temo che la corruzione finora non sia stata considerata un reato abbastanza grave da giustificare l’utilizzo di uno strumento che invece poteva essere usato contro la mafia. C’è una sottovalutazione della corruzione. C’è un pregiudizio, secondo cui i corrotti e i corruttori sarebbero meno pericolosi del mafioso. Invece la corruzione è un reato gravissimo che indebolisce l’economia di un Paese, oltre che uno strumento tipicamente mafioso usato anche dalle organizzazioni criminali che lo preferiscono all’intimidazione e alla violenza: ormai sanno che è meglio corrompere che sparare.
L’agente infiltrato è anche un deterrente contro la corruzione.
Sì. Non è soltanto uno strumento investigativo per scoprire e punire la corruzione, ma anche un modo molto efficace per prevenirla: è un deterrente formidabile, perché rompe la relazione di fiducia che deve sempre esserci tra il corrotto e il corruttore. D’ora in poi, per esempio, chi trucca una gara d’appalto non sarà più sicuro dei suoi partner, non saprà se ha a che fare con imprenditori, politici e amministratori con cui aggirare e violare le regole, oppure con un ufficiale sotto copertura che potrebbe farlo arrestare. Attenzione, però: parliamo di agente sotto copertura, non di agente provocatore, una figura che non è prevista nel nostro ordinamento.
Le differenze?
Qualcuno, tra i politici ma anche tra i magistrati, confonde o fa finta di confondere le due figure. L’agente sotto copertura osserva e rivela un reato mentre questo si sta compiendo. Il cosiddetto agente provocatore, invece, può arrivare a provocare il reato, per esempio offrendo una tangente a un politico. È una prassi utilizzata negli Stati Uniti, dove esiste l’entrapment, l’intrappolamento, un sistema che però non fa parte della nostra cultura giuridica. Da noi esiste il reato di istigazione alla corruzione e l’agente provocatore che sollecita e provoca una corruzione compirebbe un reato e non darebbe le garanzie di raccolta corretta delle prove. Come invece può fare l’agente sotto copertura, controllato dal pubblico ministero, che potrà dare una svolta alla lotta contro la corruzione.
(Il Fatto quotidiano | 4 settembre 2018)
Corrotti attenti, arriva Donnie Brasco.
L’ha battezzata “legge spazza-corrotti”, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. E la ritiene, senza mezzi termini, “rivoluzionaria”. Prevede il “Daspo” perpetuo per gli imprenditori condannati per reati contro la Pubblica amministrazione, che saranno esclusi dalle gare d’appalto; per sempre: anche una volta intervenuta l’eventuale riabilitazione del condannato, che di solito scatta tre anni dopo la fine dell’espiazione della pena. Il “Daspo” sarà a termine (5 anni) solo per coloro che ricevono una condanna che non superi i 2 anni.
La “spazza-corrotti” prevede poi che la confisca dei beni disposta in caso di condanna resista anche all’estinzione del reato che potrebbe essere prodotta da un’amnistia o da una prescrizione. E introduce infine l’agente sotto copertura, che potrà raccogliere prove della corruzione infiltrandosi all’interno del gruppo che la sta realizzando. “Sarà un moderno Donnie Brasco che potrà fare piazza pulita della corruzione”, ha detto ieri Luigi Di Maio.
L’impiego dell’agente sotto copertura nelle operazioni anticorruzione era già previsto dalla Convenzione Onu di Merida del 2003, ma non era ancora stato introdotto nella legislazione italiana. Ora il nuovo decreto dà finalmente attuazione a quella indicazione. Come funzionerà? Un agente di polizia giudiziaria s’infiltrerà tra gli imprenditori e i politici che stanno “negoziando” un appalto o truccando una gara, oppure dentro un ufficio pubblico dove si pretendono mazzette: sotto la direzione del pubblico ministero, raccoglierà le prove della corruzione in atto.
Finora questo era già possibile in Italia per le indagini su mafia e terrorismo. L’agente “undercover” è stato infatti spesso usato nelle inchieste sui traffici di droga. In quelle contro la pedopornografia sono state più volte create false identità informatiche per scambiare via web materiale illegale e individuare i pedofili. Non è mai stato utilizzato, invece, nelle indagini sui traffici illegali di rifiuti, benché fosse già permesso dalle norme. Ora sarà impiegato anche nella caccia ai corrotti e l’Italia farà da apripista per gli altri Paesi d’Europa, che ancora non hanno recepito la Convenzione di Merida. Le esperienze più significative sono state realizzate negli Stati Uniti, dove è possibile anche il “test d’integrità”, escluso invece dal nostro ordinamento, che consiste nel sottoporre funzionari pubblici alla prova di una “ragionevole” tentazione tramite l’offerta di una tangente, per verificarne la resistenza alla corruzione.
L’agente “undercover” è raccomandato caldamente da un manuale anticorruzione pubblicato dalle Nazioni Unite nel 2004. Lo ricorda il professor Alberto Vannucci, docente all’Università di Siena, che cita anche i buoni risultati ottenuti con questo strumento investigativo negli anni scorsi “per fare pulizia all’interno dei corpi di polizia di New York e di Londra”.
Secondo Vannucci, in Italia l’agente sotto copertura potrà essere efficace soprattutto negli uffici comunali o regionali, in quelli del catasto o in altri uffici pubblici dove potrà arrivare un cittadino a chiedere un permesso, una licenza, o dove potrà essere assunto un impiegato, che saranno in realtà agenti di polizia giudiziaria pronti a registrare le richieste di tangenti e i comportamenti illegali. “Più difficile”, dice Vannucci, “sarà l’infiltrazione nei sistemi dei grandi appalti, dove imprenditori, faccendieri e politici si conoscono bene, dove funzionano antichi meccanismi fiduciari e l’intruso sarebbe subito guardato con sospetto”.
Un limite all’efficacia dell’operazione sotto copertura – fa osservare un investigatore di grande esperienza – potrebbe però venire dalle catene di comando degli agenti di polizia giudiziaria. Sono controllati e diretti dal pubblico ministero. Ma una norma contenuta in un decreto legislativo del 19 agosto 2016 ed entrata in vigore il 1 gennaio 2017 impegna la polizia giudiziaria che lavora per le Procure a informare i superiori gerarchici delle indagini in corso: “I responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale”. È una norma “spiffera-indagini” che riguarderà anche le operazioni sotto copertura: i vertici di polizia, carabinieri e guardia di finanza, che dipendono dalla politica, dovranno essere informati anche di eventuali, delicate inchieste che potrebbero coinvolgere personaggi di potere, con il rischio di un corto circuito polizia-politica.
(Il Fatto quotidiano | 5 settembre 2018)