Il nazista della strategia della tensione che scriveva sul “Corriere”
Sarà anche uno che, come scrive Pietrangelo Buttafuoco, dialogava amabilmente in spiaggia di misteri esoterici con i vu cumprà che invece le ronde di Casa Pound vogliono cacciare. Ma Pio Filippani Ronconi è un nazista non pentito, soldato delle Waffen SS e dopo la guerra collaboratore dei servizi segreti, protagonista della strategia della tensione, presidente del gruppo Urri, che (secondo documenti ritrovati negli archivi di Gladio) negli anni Settanta si occupava «di archeologia e controguerriglia».
1. Un nazista al “Corriere della sera”
Orientalista, autore di molti libri, nell’autunno 2000 è chiamato a collaborare alle pagine culturali del Corriere della sera dal nuovo responsabile della cultura Armando Torno. Sul Corriere scrive due pezzi, l’8 ottobre 2000 e il 13 gennaio 2001. Il 16 gennaio un lettore, che si firma Paolo Zanon, invia all’indirizzo elettronico di Beppe Severgnini una e-mail che dice: «Ho letto sul Corriere del 9 gennaio che “1.500 ex nazisti delle Ss vivono indisturbati in Gran Bretagna”. A Londra sono seguite interrogazioni parlamentari. Qui da noi, invece, c’è un nazista che scrive sul Corriere e nessuno dice niente». Il lettore fornisce anche un indirizzo web, in cui appare una foto di un giovane Filippani Ronconi in divisa delle Waffen Ss. Il messaggio del lettore arriva al comitato di redazione del Corriere, che fa qualche ricerca e scopre che Filippani Ronconi, oltre che ex Waffen Ss, è anche citato negli atti dell’ultima indagine sulla strage di Piazza Fontana. Si precipita dal direttore: Ferruccio de Bortoli, secondo il resoconto del Cdr, afferma di considerare l’episodio «grave» e chiede una relazione sul caso al responsabile della Cultura, Armando Torno. Intanto, decide la sospensione sine die della collaborazione di Filippani Ronconi.
Pio Filippani-Ronconi, SS-Obersturmführer Graf del 1. Sturmbrigade der Italienischen Freiwilligen Legion e in seguito SS-Sturmbrigade Italia
Torno risponde di aver chiamato l’orientalista a collaborare su consiglio della casa editrice Bollati Boringhieri. Appena arrivato al Corriere, Torno ha riempito le pagine culturale del quotidiano, un tempo laico, di articoli revisionisti e di varie teologie. Davvero Torno non conosceva Filippani Ronconi? Eppure aveva già pubblicato sul Sole 24 ore, nell’ottobre 1999, un elogio del professore, a proposito del libro La spada e la corona, pubblicato da una piccola casa editrice di estrema destra.
La notizia della sospensione esce subito dalle mura del Corriere e il 18 gennaio 2001 arriva sulle pagine web del sito Il Barbiere della sera, che pubblica integralmente il comunicato del Cdr in cui viene ricapitolata la vicenda. Subito dopo, il Foglio e Libero cominciano una campagna contro il «maccartismo di sinistra». Evocano una caccia alle streghe contro gli intellettuali «politicamente scorretti». Parlano di «intolleranza di sinistra», «violenza morale», «fantasmi di zdanovismo», «atto di epurazione», «campagna di illibertà culturale al Corriere».
Descrivono Filippani Ronconi come un innocuo studioso di lingue e culture orientali con un lontano passato forse deprecabile, ma oggi tutto impegnato a raccontare come l’imperatore cinese desse inizio all’anno arando personalmente un campo, o come nelle antiche concezioni orientali la terra sia sacra se l’uomo la feconda. Riflessioni inoffensive distillate da un guerriero esoterico, un pensatore anacronistico, l’ultimo dei soldati, un inattuale samurai. Un conte. Ma soprattutto un sapiente: che conosce il sanscrito, l’arabo, il persiano, l’aramaico; che parla il tedesco, lo spagnolo, il turco; che di lauree ne ha una raccolta e di libri ne ha pubblicati una mezza biblioteca.
Culmine della difesa-glorificazione dell’(ex?) nazista è un incontro diretto tra Pio Filippani Ronconi e Pietrangelo Buttafuoco, sulle pagine del Foglio (sabato 27 gennaio 2001, giornata della Memoria). È la ricomposizione di due anime del postfascismo: il vecchio professore racconta, coccolato dal giovane giornalista, la sua storia di combattente, di eterno soldato, l’ultimo dei guerrieri. «Sono celebre nel tirare il pugnale, solo io tra i ragazzi dell’Esercito italiano potevo tenere testa alla bravura dei siciliani e dei calabresi con il coltello, anzi, insegnavo loro come sgozzare un uomo senza perdere tempo».
Estetismo della guerra. Cupo gusto della morte. Misteri iniziatici. Pantheon di dei. Il resoconto di Buttafuoco lascia la sensazione che la casa del conte sia una sorta di magazzino teatrale del sincretismo, un tempio in cui convivono innumerevoli figure del sacro, da Krsna a Padre Pio: «Ma le divinità che mi assistevano nel conflitto erano soprattutto Odino ed Hermès», racconta il conte. «Uno mi dava la potenza distruttiva, l’altro invece mi insegnava a strisciare sotto il fuoco nemico per raggiungere le mie prede».
Racconta volentieri, il conte guerriero, la sua storia. Nasce in Spagna. La madre, «occhi verdi e spirito celtico», è fucilata dai repubblicani durante la guerra contro Franco. A vent’anni combatte in Africa, volontario tra gli Arditi. È ferito due volte, riceve una croce di guerra e una promozione sul campo. Tornato in Italia, va a combattere per Mussolini a Salò. Ufficiale d’ordinanza del sottosegretario alla Repubblica sociale Barracu, si congeda perché vuole combattere: «Mi arruolai come soldato semplice nel primo reparto delle Waffen Ss in cui mi imbattei». Era il novembre del 1943. «Dopo l’8 settembre, l’Italia era solo vergogna». Per questo la scelta delle Waffen Ss, spiega Buttafuoco, «la legione straniera di chi aveva eletto la Germania anima dell’Europa».
2. Protagonista della strategia della tensione
Ma è solo questo, Filippani Ronconi? Un soldato che in gioventù si è schierato «dalla parte sbagliata»? No. è nel dopoguerra che la sua storia si fa più intrigante. Ufficialmente è impiegato, con diversi gradi via via che passano gli anni, all’ufficio radiodiffusione per l’estero della presidenza del Consiglio; ma lavora per i servizi segreti: fa il traduttore e, grazie alla sua conoscenza del sanscrito, diventa un grande esperto in decriptazione di messaggi intercettati dai servizi italiani. All’inizio degli anni Cinquanta compie una missione in Persia, con il compito di raccogliere informazioni politiche e militari nell’area.
Collabora anche con i servizi di sicurezza dell’America Latina: intorno al 1950 produce per esempio uno studio sulla situazione politico-militare della Bolivia, «prevedendo una rivoluzione che scoppiò di lì a pochi mesi». Nel 1959 comincia una carriera accademica di tutto rispetto all’Istituto orientale di Napoli. Ma continua a lavorare per i servizi segreti almeno fino alla metà degli anni Settanta (così ammette egli stesso nel 1995, in uno degli interrogatori a cui è sottoposto nel corso delle ultime indagini sulla strage di Piazza Fontana).
Nel maggio del 1965 partecipa all’Hotel Parco dei Principi al convegno sulla «guerra rivoluzionaria» organizzato dall’Istituto Pollio, un centro di studi strategici dietro cui si nascondevano lo Stato Maggiore della Difesa e i servizi di sicurezza. È il convegno in cui alti ufficiali, uomini dei servizi e giovani promesse del neofascismo discutono e teorizzano l’utilizzo anche per l’Italia della «guerra non ortodossa» (quella che sarà poi chiamata «strategia della tensione»).
Filippani Ronconi oggi minimizza la sua partecipazione: afferma di essere stato presente soltanto l’ultimo giorno dei lavori e di aver scritto il suo intervento, poi raccolto negli atti del convegno, soltanto a convegno concluso. Ma è certo che quel suo contributo è uno dei più significativi di quei giorni. Sostiene che «l’errore fondamentale delle cosiddette controrivoluzioni» è quello di aver schierato le forze «su una sola linea ideale e pratica – quindi individuabile» e, in caso di sconfitta, destinata dunque alla distruzione totale. Diversa deve essere invece la tattica della guerra non ortodossa: deve «preparare, sin d’ora, uno schieramento differenziato, su scala nazionale ed europea, delle forze disponibili per la difesa e l’offesa».
La terminologia («difesa e offesa», termini italiani per i francesi «parade» e «réponse») è quella dei teorici della guerra non ortodossa (e dell’Oas, nella guerra d’Algeria). Ma Filippani Ronconi la arricchisce proponendo tre livelli di organizzazione: il primo deve raccogliere gli individui disposti solo a «un’azione passiva, che non li impegni in situazioni rischiose» e fungerà anche da «schermo di sicurezza» per i livelli successivi; il secondo deve realizzare «azioni di pressione», «nell’ambito della legalità»; il terzo costituisce il cuore dell’organizzazione.
Si tratta di «nuclei scelti di pochissime unità, addestrati a compiti di controterrore e di rotture eventuali dei punti di precario equilibrio», gruppi «l’un l’altro ignoti, ma ben coordinati da un comitato direttivo», dove si dovrebbero impegnare «quei giovani che attualmente esauriscono sterilmente le loro energie, il loro tempo e, peggio ancora, il loro anonimato, in nobili imprese dimostrative, che non riescono a scuotere l’indifferenza della massa di fronte al deteriorarsi della situazione nazionale». Sopra questi livelli, conclude il professore, si deve porre un «Consiglio che coordini le attività in funzione di una guerra totale contro l’apparato sovversivo comunista e i suoi alleati».
Il giudice istruttore di Milano Guido Salvini scrive nella sua sentenza-ordinanza su Piazza Fontana che nelle parole di Filippani Ronconi si trova «una vera e propria sintesi teorico-operativa della strategia della tensione» e un’ipotesi organizzativa «in evidente parallelismo con quella che sarà, un paio di anni dopo, l’organizzazione dei Nuclei di Difesa dello Stato», struttura eversivo-istituzionale più segreta di Gladio e ancora oggi per molti aspetti sconosciuta.
Il professore non sa proprio niente di ciò che è successo dopo quel convegno? Eppure Delfo Zorzi, imputato della strage del 12 dicembre 1969 (e poi assolto), è stato suo studente: «Piuttosto rozzo, trasandato e non particolarmente brillante», ha minimizzato Filippani Ronconi in un suo interrogatorio, «e nei primi anni Settanta si trasferì in Oriente».
Il professore è stato per qualche anno sotto osservazione della magistratura. Indagato no, non ha mai ricevuto alcun avviso di garanzia, ma interrogato lo è stato più volte, nel 1995, nel 1996, dal giudice Salvini che indagava su piazza Fontana e poi dagli investigatori dell’ultima inchiesta sulla strage di Piazza della Loggia a Brescia. Hanno chiesto al grande orientalista, teorico dell’organizzazione a più livelli, che cosa sa dei livelli operativi, dei ragazzi passati dalle «nobili azioni dimostrative» a più utili e coordinate attività eversive.
Gli hanno chiesto che cosa sa, per esempio, dei gruppi esoterici neonazisti, il circolo dei Krammerziani di Verona, il nucleo italiano della setta induista Ananda Marga. O della squadra messa insieme da una strano principe, Boris de Reichewiltz, egittologo, genero di Ezra Pound, fondatore della misteriosa fondazione Keimer, attorno alla quale girarono agenti segreti, massoni, nazisti, trafficanti d’armi, mercenari.
Il professore, nel dopoguerra, non si è occupato soltanto di teoria. Nel fascicolo «Urri», custodito negli archivi di Gladio, si racconta di una strana associazione: l’Unione rinnovamento ragazzi d’Italia (Urri, appunto). Una allegra combriccola che, secondo i documenti ritrovati, negli anni Settanta si occupava «di archeologia e controguerriglia». Presidente: Pio Filippani Ronconi. Come si occupava «di controguerriglia» il nazista-orientalista-agente segreto? Che cosa sa dell’eversione nera e della strategia delle stragi?
Racconta il professore in un interrogatorio del 1996: «Vi furono due missioni gnostiche, nel 1933 e nel 1938, costituite dalla vere Ss, che si recarono in Tibet. Vere Ss in quanto non identificabili nei reparti di polizia ma in quelli di assalto di origine nordica che crearono poi i reparti internazionali». Quelli, insomma, in cui Filippani Ronconi servì la Germania, sua patria europea. Ma sulla bassa forza, sulla volgare quotidianità del lavoro eversivo, il professore iniziato della Thule e morto nel 2010 non ha mai risposto.
L’illustrazione è tratta da “Maus”, di Art Spiegelman