Il ministro Bonafede promette: “Sulle stragi basta segreti, apriremo davvero gli archivi”
Il 2 agosto a Bologna riapre ogni anno ferite che non riescono a cicatrizzarsi. Di solito, i politici e gli esponenti del governo che vengono a commemorare la strage della stazione e a fare promesse sono criticati e fischiati. Perché sulle stragi, come dice Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione famigliari delle vittime, “non ci sono misteri, ma solo segreti: i misteri hanno a che fare con le religioni, i segreti invece con le protezioni di cui hanno goduto personaggi e strutture”.
Protezioni che resistono, 38 anni dopo la bomba di Bologna, 49 anni dopo quella di piazza Fontana. Come ha ribadito Leonardo Grassi, componente della commissione che lavora sugli atti da desecretare e che mercoledi 1 agosto sul Fatto quotidiano ha denunciato: “La desecretazione, gestita oggi dai servizi segreti che ieri hanno depistato, rischia di essere l’ultimo depistaggio”.
Niente fischi, quest’anno a Bologna. Applausi al presidente della Camera Roberto Fico che dice: “Lo Stato ora c’è. La promessa è di esserci fino in fondo”. E ancora: “Oggi i fascismi possono essere di tanti tipi e vanno tutti combattuti. Solo quando sapremo tutto ciò che è stato potremo dirci un Paese unito. È l’unica promessa che vi faccio: come terza carica dello Stato ci sono al 100 per cento e non arretrerò mai di un passo”.
“Siamo usciti ogni anno da questa sala del Comune con tante promesse non mantenute”, ammonisce Paolo Bolognesi, “ora vogliamo i fatti”. Gli risponde il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: “È incredibile che dopo che lo Stato si è dimostrato negligente per 38 anni, i famigliari dimostrino ancora di voler credere nello Stato, dando una lezione di civiltà che la politica non ha mai dato. Ora il tempo delle parole è finito. È un obbligo morale prima ancora che politico che ci guida: giungere a una verità certa, libera da zone grigie e sospetti. Questo è l’unico vero modo di onorare le vittime”.
Quest’anno a Bologna ci sono due fatti nuovi: è in svolgimento un processo a Gilberto Cavallini, accusato di aver fornito ospitalità, sostegno e documenti falsi ai suoi camerati dei Nar già condannati per la strage, Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini; ed è corso una nuova indagine, da parte della Procura generale, sui mandanti dell’attentato e sulle coperture istituzionali. Condannati gli esecutori, intravisti i depistatori (Licio Gelli e due ufficiali dei servizi segreti che hanno già avuto una sentenza definitiva), è tempo di dipanare quel gomitolo di relazioni che univa neofascisti, criminalità, massoneria, apparati dello Stato.
Le resistenze sono tante. Continuano a essere riproposte le false piste internazionali (già più volte smontate) che portano a terroristi come il tedesco Kram e al venezuelano Carlos, o ai palestinesi, o a Gheddafi. Continuano a essere negate le conclusioni certe, benché incomplete, delle sentenze passate in giudicato. “I veri colpevoli non sono stati ancora condannati. I giudici a Bologna sono sempre stati prigionieri di logiche idelogiche e giudiziarie con lo scopo non di ricercare la verità ma di riuscire, a tutti i costi, ad arrivare alla conclusione che la matrice fosse nera per ragione di Stato”, attacca la deputata di Fratelli d’Italia Paola Frassinetti, nel solco del neofascismo da cui proviene.
Dopo la denuncia di Leonardo Grassi al Fatto, due deputati del Pd, Andrea De Maria e Walter Verini, hanno presentato un’interrogazione sul comitato consultivo sulla desecretazione a cui partecipano i familiari delle vittime delle stragi. Ha risposto il ministro dei rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro. “Il governo ha già riconvocato il comitato. E s’impegna a rendere la documentazione desecretata davvero trasparente e accessibile. Le istituzioni hanno il dovere di garantire in ogni modo l’accertamento della verità sulle stragi”.
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