“Aprire gli archivi delle stragi? È l’ultimo dei depistaggi”
Promessa: apriremo gli archivi segreti delle stragi, per far emergere la verità sulla stagione nera dell’eversione italiana. Risultato: la verità non sta affatto emergendo, anzi l’operazione archivi aperti si sta trasformando nell’ultimo, definitivo depistaggio. A sostenerlo – proprio alla vigilia dell’anniversario della strage di Bologna – è un componente della commissione che sta lavorando sugli atti da rendere pubblici, Leonardo Grassi, che conosce bene la materia perché da giudice istruttore indagò a lungo sull’eversione nera e sulle stragi di Bologna e dell’Italicus.
La promessa fu fatta solennemente martedì 22 aprile 2014, quando il presidente del Consiglio Matteo Renzi firmò la direttiva che “dispone la declassificazione degli atti relativi alle stragi di piazza Fontana (1969), Gioia Tauro (1970), Peteano (1972), Questura di Milano (1973), Brescia (1974), Italicus (1974), Ustica (1980), stazione di Bologna (1980), rapido 904 (1984)”. Aprire gli armadi, declassificare i documenti, versarli agli Archivi di Stato, finalmente a disposizione degli studiosi e dei cittadini. La “Direttiva Renzi” riguarda tutte le amministrazioni dello Stato: i ministeri, le polizie, i servizi segreti, che devono mettere a disposizione i documenti che riguardano i fatti eversivi avvenuti dagli anni Sessanta alla metà degli Ottanta.
Per decidere che cosa tirare fuori dai cassetti si sono messe al lavoro due commissioni. La prima, “di alto profilo”, è formata da uomini degli apparati dello Stato, dei ministeri e dal sovrintendente dell’Archivio centrale dello Stato, Eugenio Lo Sardo. La seconda, consultiva, è composta da storici e dai rappresentanti delle associazioni dei familiari delle vittime, che si sono più volte confrontati con i delegati dei servizi, Giampiero Massolo e Paolo Scotto di Castelbianco. Solo la prima commissione ha il potere di scegliere che cosa rendere pubblico. “A decidere che cosa declassificare”, denuncia Grassi, “sono i rappresentanti degli stessi organismi che hanno classificato”. Chiediamo insomma la verità a chi fino a oggi l’ha nascosta. Domandiamo di svelare i segreti dell’eversione a quelli che ieri hanno organizzato i depistaggi e nascosto documenti e prove alla magistratura che indagava.
Il “comitato di alto profilo” ha svolto il suo lavoro e ha stilato un lungo elenco di carte da versare negli archivi, provenienti dalla questure, dai ministeri, dalle polizie, dai servizi segreti interno ed estero (Aisi e Aise) e dalla struttura che li collega (Dis). Risultati? Mediocri, secondo Grassi. “Anzi, addirittura pericolosi: perché ora quello che è stato consegnato diventerà la verità, mentre quello che è stato tenuto nascosto non sarà più cercato”. Si scrive oggi la versione definitiva della storia sotterranea d’Italia. “E a scriverla sono gli stessi apparati che l’hanno prodotta, con le loro complicità con l’eversione, le coperture, i silenzi, gli inquinamenti, le esfiltrazioni, i depistaggi”.
Leonardo Grassi ha scritto una lettera moto critica al presidente e ai componenti del Comitato consultivo, affermando che “lo spirito della Direttiva è stato sostanzialmente ignorato in fase attuativa” e che “l’intera operazione appare del tutto inadeguata rispetto agli scopi prefissati”. Che cosa contesta all’operazione? “Sono stati versati documenti su una miriade di episodi d’eversione e terrorismo, anche minuti. E questo è positivo”, spiega al Fatto quotidiano. “Ma non sono stati desecretati invece i fascicoli sulle strutture di guerra non ortodossa, che sono il cuore segreto della strategia stragista: da Gladio ai Nuclei per la difesa dello Stato, dalla Rosa dei venti all’Anello, dal Mar di Carlo Fumagalli a Pace e libertà di Luigi Cavallo. Tutte strutture degli apparati dello Stato o con forti connessioni con apparati dello Stato”.
Niente sui due principali gruppi dell’eversione italiana di quegli anni, “Ordine nuovo di Pino Rauti e Avanguardia nazionale di Stefano Delle Chiaie, entrambi con consolidati rapporti con servizi e apparati”. Sono stati versati i documenti sulle stragi, “ma non i fascicoli personali sui personaggi che delle stragi e dell’eversione sono stati i protagonisti, neppure quelli già condannati per depistaggio o per strage”: dal Gran Maestro della P2 Licio Gelli all’uomo del “supersismi” Francesco Pazienza, dal comandante Junio Valerio Borghese del tentato golpe del 1970 al colonnello Amos Spiazzi della Rosa dei Venti, dal colonnello dei carabinieri Giuseppe Belmonte al generale del Sismi Pietro Musumeci, dall’armiere di piazza Fontana Carlo Digilio al capitano dei carabinieri Antonio La Bruna e ai generali del Sid Vito Miceli e Gianadelio Maletti.
Niente fascicoli di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, già condannati per la strage di Bologna, né dei più volte indagati Delfo Zorzi, Massimiliano Fachini, Stefano Delle Chiaie, Marcello Soffiati. Niente sul Piano Solo (1964) del generale Giovanni de Lorenzo. Niente sul banchiere Michele Sindona, coinvolto nel golpe Borghese e in rapporti con Cosa nostra. Sulla strage di Ustica, Grassi fa notare che neppure un documento è stato versato dal ministero dei Trasporti: “Possibile che non abbia neppure una carta sulla notte del 27 giugno 1980 in cui è caduto in mare il Dc-9 dell’Itavia?”. Quanto alle stragi del 1992-93 sono state fin dall’inizio escluse.
Ci sono poi alcuni archivi che sono rimasti completamente fuori dalla pesca miracolosa: sono l’inaccessibile archivio del Quirinale e quelli degli Uffici sicurezza del Patto Atlantico. Intanto i servizi segreti italiani hanno organizzato, nel dicembre 2017, un convegno all’Università di Pavia dal titolo “La storia possibile”, in seguito al quale sono state finanziate due borse di studio da 20 mila euro ciascuna per lo studio delle carte versate negli archivi. “I servizi”, conclude Grassi, “oggi stanno cercando di scrivere la storia che hanno costruito negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta”. Del resto, come diceva George Orwell, “chi controlla il passato controlla il futuro”.
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