Tutti contro le correnti, in realtà contro i magistrati. Ieri Silvio, oggi i leghisti
“Sono toghe rosse”, diceva Silvio Berlusconi quando i magistrati lo mettevano sotto inchiesta. “È una sentenza politica”, dice Matteo Salvini quando i giudici ammettono il sequestro dei milioni di finanziamento pubblico che la Lega è accusata di aver ricevuto illegittimamente. “La magistratura si liberi delle correnti, specialmente quelle di sinistra”, dichiara il leghista Jacopo Morrone, sottosegretario alla Giustizia.
I suonatori cambiano, ma la musica è sempre quella: i politici di destra e di sinistra, pronti ad applaudire i magistrati quando mettono sotto inchiesta un loro avversario, poi sparano sulle toghe quanto a essere indagati tocca a loro. Lo facevano anche quelli del Pd-Pds dopo i primi mesi di Mani pulite. E Matteo Renzi ha chiamato “fango” l’inchiesta Consip, “una vicenda di inaudita gravità, ordita per colpire un presidente del Consiglio”. Quello che gli uomini dei partiti oggi calcano di più è la critica delle correnti della magistratura. Approfittano di un diffuso malumore contro le degenerazioni correntizie che è ben presente ormai anche (e forse soprattutto) dentro la magistratura stessa.
Il sottosegretario Morrone indica chiaramente “le correnti di sinistra” come il nemico da cui liberarsi. Era già il ritornello di Berlusconi, che se la prendeva con Magistratura democratica “che 1968 si divise in due: una parte andò con il Partito comunista, l’altra sposò le tesi delle Brigate rosse”. L’house organ della famiglia Berlusconi, il settimanale Panorama un tempo glorioso, fece addirittura il calcolo che, “nei 34 processi in cui è stato imputato” il fondatore di Forza Italia, “almeno venti pubblici ministeri (ma il dato è molto approssimato per difetto) fanno parte delle due correnti di sinistra: Magistratura democratica e Movimento per la giustizia, dal 2011 federate nell’alleanza elettorale Area”.
Un momento caldo dell’attacco della politica alla magistratura è stato quello della presentazione, nel 2002, del nuovo ordinamento giudiziario (poi approvato nel 2005) da parte dell’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli, leghista. Allora l’intera magistratura si oppose a norme che venivano giudicate un tentativo di ridurre l’autonomia e l’indipendenza delle toghe. Ma Castelli arrivò a dichiarare non solo che la magistratura era politicizzata, ma che in particolare Magistratura democratica era legata al Partito comunista e agli altri partiti della sinistra, da Rifondazione comunista fino al Pd.
Gli rispose a suo modo il magistrato Armando Spataro, leggendo durante un confronto televisivo una pagina di storia: il resoconto dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del 1940 a Palazzo Venezia, alla presenza del Duce, quando i giudici “hanno prorotto in una invocazione altissima” a cui Mussolini ha risposto “sorridendo e levando romanamente il braccio”. A quel punto “rimbombò l’A noi! e scoppiò tonante un’alta manifestazione di devozione, di fede e di entusiasmo”.
Devozione, fede ed entusiasmo per i partiti difficili da trovare oggi nelle file dei togati (salvo, naturalmente, vistose eccezioni di magistrati che servono la politica o diventano politici essi stessi). È sempre Spataro a ricordare che 1925 l’associazione dei magistrati, che allora non si chiamava Anm ma Agmi, decise di sciogliersi, piuttosto che trasformarsi in sindacato corporativo fascista.