POLITICA

La triste disfida tra Roma corrotta e Milano capitale morale

La triste disfida tra Roma corrotta e Milano capitale morale

C’è qualcosa che non quadra nella nuova disfida Roma-Milano innescata dagli arresti per lo stadio romano. I giornali ci raccontano di Roma malata e Milano tornata capitale morale. Ma è proprio così? Di certo Roma, capitale corrotta, si conferma infetta. E l’infezione coinvolge questa volta anche un personaggio importante del mondo Cinquestelle, quel Luca Lanzalone che ha scritto lo statuto del Movimento: ha trattato con il costruttore Luca Parnasi le modifiche al progetto dello stadio, dimezzando le cubature, ma anche incassando promesse di incarichi professionali per 100 mila euro; ed era diventato il cavallo di Troia di Parnasi nel mondo gialloverde, tanto che il costruttore si vantava: “Il governo lo faccio io”, “Parlo direttamente con Salvini”, “Sento Luigi Di Maio tre volte al giorno”.

Milano invece è dipinta come baluardo di virtù, perché avrebbe respinto i tentativi di Parnasi di entrare nel business immobiliare della città. Ecco dunque Repubblica lanciare l’“Elogio di Maran, l’assessore che dice no”. E il Corriere inneggiare in prima pagina al fatto che “A Milano non si usa”. Le cose, purtroppo, sono un poco più complicate. Parnasi, che a Roma doveva realizzare lo stadio della squadra di Totti, a Milano era molto attivo e cercava di piazzare sullo scalo Farini lo stadio del Milan. E il suo metodo di fare affari a suon di promesse, favori e mazzette stava cercando di esportarlo a Milano.

Il suo braccio destro, il cugino Giulio Mangoni, in un’intercettazione racconta che il suo gruppo è andato da Pierfrancesco Maran, assessore di Giuliano Pisapia e poi di Giuseppe Sala, tentando di corromperlo, scrivono i magistrati, “attraverso la proposta di cessione di un immobile, al fine di ottenere entrature per la realizzazione dello stadio di Milano”. Maran lo respinge. Racconta Mangoni: “Quello dice amico mio no! Cioè qua funziona così… io non voglio prendere per culo chi mi ha votato… Siamo andati lì dall’assessore a fare una figura… sembravamo i romani… quelli dei film… peggio di Totò”.

Questa la – non del tutto chiara, in verità – versione dei fatti che un indagato consegna alle intercettazioni. Scatenando l’elogio dell’assessore che dice no, che fa barriera al malaffare, che respinge i tentativi di corruzione. Ma la glorificazione di Maran lascia aperte un paio di domande: se c’è stato un tentativo di corruzione, perché che chi l’ha respinto non l’ha riferito subito al sindaco? e perché non è immediatamente corso dai carabinieri a denunciarlo? Così fece, già nel 1983, il sindaco di Torino Diego Novelli che denunciò i corruttori e fece scoppiare, dieci anni prima di Mani pulite, lo scandalo Zampini.

Come sono andate davvero le cose sotto la Madonnina? Maran, chiamato dal Fatto quotidiano, non ha risposto. Nelle sue dichiarazioni pubbliche mantiene un’alea di ambiguità. Da una parte dice: “Non sono un eroe, rispettare le regole per me e per questa giunta rappresenta l’assoluta normalità”. Dall’altra nega che ci sia stata una proposta corruttiva: “Ho appreso che avevano questi intenti dalle intercettazioni. Secondo me negli incontri eravamo anni luce da questo approccio. Mi sento anche un po’ in imbarazzo per la visibilità di questi giorni”. La casa gliel’hanno offerta o no? È solo un’invenzione di Mangoni? E perché Mangoni si inventa questa storia in cui il suo gruppo fa una pessima figura (“Sembravamo… peggio di Totò”)?

Il sindaco Sala invece non ha dubbi. Nessuna proposta di corruzione: “Maran mi ha detto che in realtà non ci sono state neanche offerte. I miei assessori sanno che di fronte a cose del genere la prima cosa che devono fare è venire a parlarne con me. Maran non mi ha mai detto niente e quindi sono assolutamente tranquillo, così come ho visto tranquillo lui”. Per Sala, poiché non c’è stata denuncia, non c’è stato neanche tentativo di corruzione. Intanto però dall’inchiesta scopriamo che Parnasi, mentre a Roma si lavorava Lanzalone e i Cinquestelle e finanziava la Lega (250 mila euro alla onlus PiùVoci), a Milano finanziava la campagna elettorale di Sala (50 mila euro della moglie di Sandro Parnasi, Maria Luisa Mangoni, sono donati al Pd milanese che li gira a Sala per la campagna elettorale).

Un finanziamento regolare, anche se il costruttore Parnasi si nasconde dietro una parente. Nessun reato, dunque. Ma vi immaginate come si sarebbero scatenati i giornali se Parnasi avesse finanziato a Roma la campagna elettorale di Virginia Raggi? Due pesi e due misure, sull’asse Milano-Roma. (Repubblica ha chiesto le dimissioni di Virginia Raggi per gli incarichi promessi da Parnasi a Lanzalone, di cui nulla sapeva. Chiederà anche le dimissioni di Sala?). Quei soldi, nelle intenzioni del costruttore, dovevano servire ad ammorbidire i rapporti con il sindaco di Milano. Luca Parnasi, ammette Sala, ha incontrato più volte il sindaco e l’assessore Maran. Incontri legittimi: aveva ricevuto dal Milan l’incarico di cercare un’area a Milano dove costruire l’eventuale nuovo stadio, aveva preso in considerazione Santa Giulia, Ortomercato, Bovisa, Sesto, poi si era fissato sullo scalo Farini.

Lo stadio, a Milano come a Roma, è solo il grimaldello per costruire attorno all’impianto molto altro, e molto più remunerativo: uffici, spazi commerciali, residenze. Parnasi nelle carte dell’inchiesta si vanta di avere ottimi rapporti con Sala (“La mia forza è che io alzo il telefono e Sala…”) e che il sindaco gli è grato per il finanziamento ricevuto (“Io sono gratissimo a Luca perché senza Luca, che all’epoca a Milano non esisteva, io non facevo la corsa elettorale”). Sono solo vanterie, replica Sala, che ammette i contatti e le trattative, ma garantisce di aver respinto le richieste: “È più che documentabile che Parnasi fosse interessato, su incarico del Milan, alla realizzazione dello stadio nello scalo Farini. A questo proposito sia io che l’assessore Maran abbiamo incontrato lui e il suo team. E tutti hanno visto come è andata a finire: proposta respinta”.

Anche perché ora Luca Parnasi, grazie ai magistrati della Procura di Roma, è in una cella del carcere milanese di San Vittore e non potrà più mettere le mani su qualche area di pregio degli oltre 3 milioni di metri quadrati che aspettano di essere “sviluppati” nei prossimi anni.

15 giugno 2018
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