Otto sindaci di Milano con Mattarella. Contro i barbari dell’antipolitica
L’ultima ideona di Giuseppe Sala è stata quella di schierare se stesso e tutti i suoi predecessori sindaci di Milano (quelli ancora vivi) in difesa “delle istituzioni e del presidente della Repubblica” Sergio Mattarella. La difesa delle istituzioni mi piace. Va sempre bene ed è sempre da lodare. Scrivono i sindaci – Giuseppe Sala e Giuliano Pisapia, Letizia Moratti e Gabriele Albertini, Marco Formentini e Gianpiero Borghini, Gianpaolo Pillitteri e Carlo Tognoli – di aver avuto “l’onore di amministrare la città di Milano nel corso delle diverse stagioni politiche degli ultimi decenni, sostenuti da maggioranze alternative, per effetto della libera espressione democratica dei milanesi”.
E di aver “gestito l’incarico, pur con orientamenti politici e stili personali anche molto differenti, con la consapevolezza che l’istituzione comunale era a noi affidata da tutti i cittadini e non solo da quelli della nostra parte politica”. Insomma: “Per noi il ruolo del sindaco è innanzitutto di garante dell’unità e della coesione della nostra comunità, il che rappresenta uno degli elementi decisivi nel mantenimento di un solido tessuto democratico”.
Come non essere d’accordo? Sorvoliamo sul fatto che un paio di firmatari siano pregiudicati condannati per Mani pulite, sindaci garanti del sistema di Tangentopoli ai tempi beati della Milano da bere. Ma la lettera con le otto firme, dopo aver allineato tante belle dichiarazioni sull’essere sindaco di tutti (e come non essere d’accordo?), non è coerente con le conclusioni. I firmatari decidono di “esprimere al presidente della Repubblica Sergio Mattarella la più ampia e incondizionata solidarietà per l’azione di garanzia della Costituzione, dell’unità nazionale e degli impegni internazionali svolta durante tutto il periodo successivo alle recenti elezioni politiche”.
Affermando al contempo “con grande convinzione il nostro credo nei valori europei. Ritenendo assolutamente sbagliato anche il solo mettere in dubbio la partecipazione del nostro Paese alla grande comunità europea, ribadiamo che Milano è e sarà sempre una città aperta e internazionale, rispettosa dei valori democratici e fiera di sentirsi profondamente italiana e europea”. Bene. Bravi.
Ma i magnifici otto non tengono in considerazione che, a detta dei migliori costituzionalisti italiani, da Lorenza Carlassare a Valerio Onida, da Paolo Maddalena a Massimo Villone, il capo dello Stato ha gestito in nodo perlomeno incauto le consultazioni per la formazione del nuovo governo, rifiutando per motivi politici un economista proposto come ministro dell’Economia: Paolo Savona, perché in passato aveva espresso dure critiche all’unione monetaria, anche se per il presente aveva escluso che l’Italia potesse essere trascinata fuori dall’euro. La nostra Costituzione esclude che il capo dello Stato possa porre veti politici a candidati ministri.
“Il diniego sul nome di un ministro”, spiega Carlassare, “può esserci per incompatibilità col ruolo, per conflitto d’interessi o indegnità causata, per esempio, da condanne penali, dunque solo per ragioni oggettive”. Fu così per Cesare Previti (era l’avvocato di Silvio Berlusconi ed era inopportuno che facesse il ministro della Giustizia) o di Roberto Maroni (era indagato per essersi opposto alla polizia arrivata nella sede della Lega e non era opportuno che diventasse ministro dell’Interno). Non per ragioni politiche, come la difesa dell’europeismo o del verbo delle agenzie di rating. I magnifici otto si presentano come un “asse repubblicano” contro i barbari dell’antipolitica. Non so se facciano bene, dato che, da sindaci, devono rappresentare anche i cittadini barbari e antipolitici. Di certo non può farlo il capo dello Stato, che deve garantire tutti i cittadini.