La Pd Ferranti, premiata con un posto in Cassazione (senza concorso)
L’hanno pugnalata, alle elezioni del 4 marzo, non mettendola in lista. Ma niente paura: lei, Donatella Ferranti, deputata Pd, ha subito recuperato alla grande. È tornata a fare il magistrato, premiata con un posto al vertice della carriera: giudice in Cassazione. Lo ha deciso il 14 marzo il plenum del Consiglio superiore della magistratura, con un solo voto contrario (Aldo Morgigni) e due astenuti (Lucio Aschettino e Alessio Zaccaria). Senza passare da un regolare concorso. Senza valutazione della commissione titoli. E contro la legge. Insorge il gruppo “Autonomia e indipendenza”, quello fondato da Piercamillo Davigo, che stila un comunicato di fuoco: la nomina è illegittima, è un premio “politico” a una magistrata che non aveva i titoli per entrare in Cassazione, non avendo mai scritto una sentenza in vita sua.
Ferranti, entrata in magistratura nel 1981, ha fatto per due anni il pretore del lavoro a Cagliari e poi il sostituto procuratore a Viterbo. Fino al 1999. Dopo, per 19 anni, fa altro: entra al Csm come vicesegretario e poi segretario generale, braccio operativo dei vicepresidenti Virginio Rognoni e Nicola Mancino. Nel 2008 è eletta deputato del Pd, riconfermata nel 2013, quando diventa anche presidente della Commissione giustizia. Ora il rientro: consigliere di Cassazione. La nomina “è contraria alla legge e alle circolari del Csm”, protesta “Autonomia e indipendenza”. Dopo essere stati fuori ruolo, “possono rientrare in Cassazione solo i magistrati che abbiano effettivamente svolto le funzioni di legittimità”, come espressamente previsto da un articolo di legge del 2006 e da una circolare del Csm del 2014. La maggioranza del Consiglio superiore della magistratura ha sostenuto che aver fatto il segretario generale dell’organo di autogoverno dei giudici equivale ad aver ottenuto le “funzioni di legittimità”.
“Non è così”, secondo i consiglieri di “Autonomia e indipendenza”. Ferranti ha svolto un ruolo amministrativo, ottenendo una “qualifica formale che prescinde totalmente dall’effettivo svolgimento delle funzioni di legittimità, che invece è il requisito richiesto dalla legge e dalla circolare”. Quando, nel 2009, pur facendo già politica ed essendo fuori ruolo dal 1999, aveva ottenuto una valutazione lusinghiera (elogi per la sua “indipendenza, imparzialità ed equilibrio”) che le aveva fatto superare il settimo gradino di avanzamento professionale in carriera, a chi le chiedeva se non avesse incassato un premio politico, rispondeva: “Non è giusto che un magistrato che decide di mettere la propria professionalità al servizio delle istituzioni debba essere punito. Quando lascerò la politica accetterò il posto che mi spetta”.
Altro che punizione: ha ricevuto il massimo dei premi; il diritto al “sorpasso” dei magistrati che invece di fare politica fanno il loro mestiere. Del resto, provvidenzialmente, qualche giorno fa il Parlamento ha fatto cadere, con un comma della legge di stabilità, il limite di un anno per i magistrati che vanno a ricoprire incarichi direttivi e incarichi fuori ruolo.
Spiega il comunicato di “Autonomia e indipendenza”: “Nessuna delibera del Csm ha conferito le funzioni effettive di legittimità alla interessata (ma solo le funzioni formali per avere il posto di segretario generale del Csm) e comunque nessuna delibera poteva farlo. Si ribadisce quindi” che la nomina “appare errata in punto di diritto. Ma non è solo il dato giuridico che va evidenziato nel caso in esame”: il premio a Ferranti “rischia di avere un’alta valenza simbolica, perché sottende una certa confusione tra funzioni politiche e funzioni giudiziarie, legittimando chi abbia svolto rilevanti ruoli politici elettivi ad accedere senza concorso al supremo organo di giurisdizione in Italia. Si crea così una sorta di corsia preferenziale, anzi di sorpasso, in danno dei magistrati normali, che per accedere alle funzioni di legittimità devono in genere lavorare per svariati anni negli uffici giudiziari e sono inoltre sottoposti alle valutazioni della Commissione tecnica e poi del Csm”.
I togati di “Autonomia e indipendenza” chiedono al Csm, criticando “anche il peso degli accordi correntizi, di ribadire l’assoluta separatezza delle funzioni politiche da quelle giudiziarie, dando un’effettiva prevalenza a queste ultime e riconoscendo altresì il ruolo centrale della Corte di cassazione quale supremo organo di giurisdizione”.