Fs, voglia di egemonia sui trasporti a Milano. Ma senza metterci soldi
È uno stillicidio, quello degli incidenti, piccoli o grandi, che capitano sulle linee Trenord. L’11 aprile 2017 un uomo morì dopo essere stato trascinato per alcuni chilometri da un treno in partenza dalla stazione di Albate Camerlata, nei pressi di Como: mentre tentava di salire in vettura era rimasto con un piede incastrato tra le porte. Un mese dopo, a maggio, su Facebook compaiono alcuni filmati di treni della linea Colico-Chiavenna che corrono a tutta velocità su passaggi a livello con le sbarre alzate. Allora, per un miracolo, non ci scappò il morto. Ieri per il treno deragliato a Pioltello i morti sono stati tre e un centinaio i feriti. Prima o poi doveva succedere, visto lo stato di salute di Trenord, croce dei pendolari lombardi che da anni protestano per i guasti, i ritardi, l’affollamento, la sporcizia dei vagoni.
Ma il disastro ferroviario di ieri ha come orizzonte uno scontro di potere. Protagonista: Renato Mazzoncini, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, ultrarenziano, asso pigliatutto del trasporto pubblico. Trenord è una società controllata al 50 per cento da Fnm, Ferrovie Nord Milano, holding della Regione Lombardia, e al 50 per cento da Trenitalia, società delle Fs di Mazzoncini. Fnm e Fs sono soci a metà, ma non senza scontri e polemiche. Regione Lombardia e Fnm negli ultimi anni hanno investito 450 milioni di euro per rinnovare i mezzi, comprando 45 nuovi treni, e hanno avviato una gara per altri 161 treni, valore 1,6 miliardi di euro, che cominceranno a essere consegnati nel 2020.
E Fs? Investimenti zero. Gli ultimi conferimenti sono del 2009, quando Fs passò a Trenord un’ottantina di vecchi treni ex Trenitalia. Il risultato è che il materiale rotabile di Trenord è antico. Nel 2015, ben 150 treni (la metà di tutti i convogli in servizio) avevano un’età media di 27 anni. Oggi il numero è sceso, ma solo per l’apporto di Fnm e Regione Lombardia, senza alcun contributo di Fs.
Questa volta però sembra che l’incidente sia stato causato non da un guasto del treno (in un primo momento era stata fatta l’ipotesi della rottura di un carrello), ma da un cedimento della rotaia, dunque da un problema della rete. Quella servita da Trenord è di 2 mila chilometri, 300 di proprietà Fnm attraverso la controllata Ferrovie Nord, e 1.700 di Rfi, Rete ferroviaria italiana, società al 100 per cento Fs. La sciagura è avvenuta in un tratto Fs. Eppure Mazzoncini ha sempre rivendicato la netta superiorità, per quanto riguarda la sicurezza, della sua rete nazionale in confronto alle reti regionali.
Tanto che dopo un grave incidente avvenuto in Puglia nel luglio 2016, quando due treni della società Ferrotramviaria si scontrarono sulla linea Bari-Barletta causando 23 morti e una cinquantina di feriti, Mazzoncini chiese che le reti regionali passassero tutte a Fs. La proposta arrivò in Parlamento, sostenuta dal Pd di Matteo Renzi, grande sponsor di Mazzoncini. Solo le pressioni di alcune Regioni, tra cui la Lombardia che aveva fatto investimenti nella sua rete ferroviaria e non soleva cederla gratis a Fs, hanno ottenuto di modificare il progetto, imponendo che il passaggio alle Fs avvenisse soltanto con l’assenso delle Regioni.
Mazzoncini è da mesi al centro di grandi manovre per crescere nel settore del Tpl, i trasporti locali pagati con soldi pubblici. A Milano, l’assalto a Ferrovie Nord appare soltanto come il primo passo per arrivare al boccone più prezioso, Atm, l’azienda comunale che gestisce i trasporti milanesi. Nell’impresa appare spalleggiato dal sindaco Giuseppe Sala e dal suo uomo forte, l’assessore al Bilancio Roberto Tasca, che già hanno aperto le porte a Fs nella linea M5 della metropolitana milanese e nel progetto immobiliare milionario degli Scali ferroviari.
Ora la Procura di Milano ha aperto un’inchiesta per disastro ferroviario colposo. Saranno molto probabilmente iscritti nel registro degli indagati i vertici e i responsabili della sicurezza di Rfi, proprietaria della rete. Tra questi, l’amministratore delegato, Maurizio Gentile.
Il nome di Gentile è già comparso in un’altra inchiesta, per turbata libertà del procedimento d’appalto. Era il 2015 quando la Procura di Firenze ipotizzò che Gentile avesse facilitato un’azienda, la Speno International sa, nella gara per la molatura delle rotaie. In un’intercettazione, il referente dell’azienda, Stefano Perotti, faceva capire che conosceva bene l’ingegner Gentile e che c’erano ottime prospettive “per lavorare bene”. A Perotti viene riferito anche che Ercole Incalza, ex dirigente del ministero dei Trasporti, era “in possesso di una pennetta con dentro tutto il materiale che gli ha mandato Gentile… sul cambiamento del tracciato”. L’inchiesta fiorentina sulle grandi opere è stata però archiviata nel 2016 perché “gli elementi emersi dalle indagini preliminari non erano sufficienti a fondare l’accusa in giudizio”.
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