La Prima alla Scala. Boschi e rivoluzione
di Gianni Barbacetto e Nanni Delbecchi /
Maria Elena Boschi, chi l’ha vista? Durante l’intervallo dell’Andrea Chenier nel foyer della Scala serpeggia un dubbio: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio è arrivato oppure no? Alla fine viene avvistata nel Palco reale insieme al fratello, ma il suo arrivo resterà l’unico mistero di questa prima scaligera diffusa e blindata con misure di sicurezza aeroportuali, piazza pressoché inagibile e proteste ridotte al minimo sindacale (Cub e centro sociale il Cantiere). Trionfo annunciato e applausi ecumenicamente divisi tra il direttore Riccardo Chailly, il regista Mario Martone, il soprano Anna Netrebko (Maddalena), il baritono Luca Salsi (Gerard). Qualche fischio finale per il tenore Yusif Eyvazon (Chénier), atteso al varco dai puristi del belcanto.
La politica continua la dieta dimagrante che dura da qualche anno: ad ascoltare sull’attenti l’inno di Mameli c’erano oltre al sindaco Sala e al presidente Maroni, i ministri Carlo Padoan, Claudio De Vincenti ed Enrico Franceschini. E, come detto, c’era soprattutto il sottosegretario Maria Elena Boschi, più attesa da cronisti e fotografi della contessina Maddalena di Coigny. Anche lei, mormorava il foyer, sarebbe stata disposta a seguire suo padre al patibolo come l’eroina di Umberto Giordano? Nessuno ha potuto chiederglielo, perché nessuno l’ha vista entrare. Boschi è emersa nel Palco reale direttamente da un passaggio segreto (mai accaduto a memoria d’uomo: forse il caveau di Banca Etruria?).
Illuminati dall’albero di Dolce&Gabbana che qualcuno ha rischiato di scambiare per Daniela Santanché, forniti della ristampa in facsimile del libretto originale di Luigi Illica (per alcuni, la cosa migliore dell’Andrea Chénier) un misto vip alla milanese in tono minore, qualche banchiere (Giovanni Bazoli), qualche direttore (Guido Gentili), qualche figura istituzionale (Raffaele Cantone); sul fronte dello showbiz, una bellissima Margherita Buy, Natasha Stefanenko, Carla Fracci, Roberto Bolle, Eliana de Sabata, figlia del grande direttore Victor al quale è stata dedicata la serata.
Al ritorno nella sala del Piermarini dopo 32 anni, l’opera di Giordano giocava in casa, sia perché ebbe qui il suo battesimo, sia perché è un’opera dichiaratamente prediletta da Chailly, direttore egli stesso di energico gusto verista, che ha firmato ieri a tutti gli effetti il suo primo Sant’Ambrogio. Giocare in casa è un’arma a doppio taglio, ma tutto è filato liscio nel flusso della piattaforma rotante di Margherita Palli, della ligia regia di Mario Martone e dall’esecuzione torrenziale di Chailly. Applausi vietati alla fine delle romanze pur essendo lo Chénier adorato dai tradizionalisti – i malevoli dicono essere questo il destino di tutte le rivoluzioni – che vive di arie celebri.
Due ore e mezzo in tutto, una passeggiata rispetto alle tetralogie; poi per 500 invitati cena a tema: arredi Settecento come se dovesse spuntare Chénier in persona, sfuggito alla ghigliottina; menù dello chef Filippo La Mantia in omaggio ai princìpi dell’89: risotto al brodo di cappone con marroni e cacio fresco e falso magro di gallina. Chi ha detto che la rivoluzione non è un pranzo di gala?