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Riciclaggio e usura, nuova ispezione a Ubi Banca

Riciclaggio e usura, nuova ispezione a Ubi Banca

Il momento, si sa, è difficile per Banca d’Italia, sotto accusa per la scarsa incisività dei suoi controlli sulle disastrate banche italiane. Così, per non sbagliare, ecco che la banca centrale avvia una nuova ispezione presso Ubi Banca. L’ordine lo firma, il 3 novembre 2017, il governatore Ignazio Visco in persona: “Si dispone che codesto gruppo”, cioè Ubi, “venga sottoposto ad accertamenti ispettivi”. Affidati a Vincenzo Cantarella con Emilio Boni, Nicola Maineri, Franco Andreucci, Massimo Morichelli e Sandro Giurato.

Due gli obiettivi indicati: “Verifica di follow-up sullo stato di attuazione degli interventi correttivi richiesti a seguito degli ultimi accertamenti ispettivi in materia di antiriciclaggio”; e “dell’idoneità degli assetti organizzativi a produrre segnalazioni corrette dei Tegm e a prevenire i rischi connessi a violazioni delle norme in materia di usura”. Tradotto, significa che Bankitalia vuole verificare se Ubi ha fatto i compiti a casa che le erano stati assegnati dopo il precedente controllo della Vigilanza e se ha modificato la sua organizzazione in modo da essere efficace in materia di antiriciclaggio e antiusura (i Tegm sono i Tassi effettivi globali medi). Sullo sfondo, ci sono ben tre indagini giudiziarie su Ubi. Non solo quella della Procura di Bergamo che contesta gli accordi stretti tra i due gruppi di azionisti, quello bergamasco di Emilio Zanetti e quello bresciano di Giovanni Bazoli, per mantenere il controllo su Ubi dopo la fusione che l’aveva fatta nascere nel 2007; ma soprattutto le inchieste delle Procure di Brescia e di Milano.

A Brescia, una decina di dirigenti sono indagati per aver omesso le comunicazioni obbligatorie di operazioni sospette alla Banca d’Italia e aver addirittura disattivato i software antiriciclaggio per coprire le operazioni di 40 clienti eccellenti (tra cui l’ex presidente Franco Polotti e l’ex consigliere Gianluigi Gola). A Milano, invece, è stato chiesto il rinvio a giudizio per 14 persone (tra cui Mario Cera, vicepresidente del consiglio di sorveglianza) per la gestione della controllata Iw Bank, che secondo i pm tra il 2008 e il 2014 era diventata una specie di banca offshore, con ben 104 mila dei suoi 140 mila conti on line senza alcun controllo. Insomma, ci sono due Procure che indicano Ubi come il paradiso del riciclaggio.

Eppure i controlli di Bankitalia negli anni scorsi ci sono stati. Ben due le ispezioni in Iw Bank, nel 2011 e nel 2013. Quanto alla casa madre, è la stessa Ubi che nel suo documento di registrazione depositato alla Consob il 9 giugno 2017 racconta com’era andata a finire l’ispezione, chiusa il 23 dicembre 2015, “in materia di trasparenza delle operazioni e correttezza delle relazioni con la clientela e di contrasto del riciclaggio”: con un “giudizio parzialmente sfavorevole”. Erano state rilevate “debolezze negli assetti interni, nei processi operativi e nei controlli” per i “profili di trasparenza e correttezza nelle relazioni con la clientela”. Inoltre erano emerse “carenze nel governo dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo”.

Bankitalia per questo aveva avviato una procedura sanzionatoria, anche in relazione alla “alimentazione dell’archivio unico informatico”. Ma poi nel maggio 2016 erano arrivate le controdeduzioni di Ubi e nel gennaio 2017 Banca d’Italia aveva deciso “di non dare seguito all’iter sanzionatorio”.

Tutto a posto. Nel febbraio 2017, l’istituto di Bergamo aveva comunicato a Bankitalia ulteriori aggiornamenti “sulle iniziative e sugli interventi definiti e attivati” in materia di antiriciclaggio e di trasparenza e correttezza nelle relazioni con la clientela. Oggi scopriamo che non basta: gli standard si devono essere alzati, in tempi di critiche alla Vigilanza, tanto che arriva la nuova ispezione. Eppure nel gennaio 2017 Bankitalia non aveva trovato di meglio che affidare, proprio a Ubi, Etruria, Banca delle Marche e Cassa di Risparmio di Chieti, tre delle quattro banche in crisi che erano state salvate grazie al “fondo di risoluzione”.

 

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Il Fatto quotidiano, 15 novembre 2017
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