L’Unione europea chiede all’Italia perché vuole regalare i dati sanitari a Ibm
La Commissione europea vuole sapere che cosa stanno combinando il governo italiano e la Regione Lombardia con Ibm, a proposito dei dati sanitari personali dei cittadini italiani promessi alla multinazionale Usa. A intervenire è, da Bruxelles, la Direzione generale Concorrenza della Commissione, che ha il compito di far applicare le regole della Ue “assicurando una concorrenza leale e in condizioni di parità tra tutte le imprese e contribuendo così a un miglior funzionamento dei mercati europei”. Il direttore, Henrik Morch, in data 31 ottobre 2017 ha inviato una lettera di tre pagine alla Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione europea, chiedendo chiarimenti “entro 20 giorni lavorativi dalla data di ricevimento” e, al più presto, “una riunione con le autorità italiane” per “discutere sulle questioni in oggetto”.
Le “questioni” sono quelle raccontate dal Fatto quotidiano (i cui articoli sono più volte citati nella lettera) e cioè la firma, nel marzo 2016, di un “Memorandum of understanding tra il presidente del Consiglio italiano e l’impresa Ibm” per dare all’azienda i “dati dettagliati di circa 61 milioni di cittadini italiani in possesso delle autorità pubbliche italiane”; la stipula, nel gennaio 2017, di un “contratto per lo sviluppo industriale” tra il ministero dello Sviluppo economico, l’agenzia Invitalia e una azienda del gruppo Ibm, Softlayer Technologies Italia srl, con l’obiettivo di aprire a Milano, sui terreni Expo, il “primo centro europeo per la ricerca sui dati sanitari”. La lettera vuole “verificare se questi accordi sollevino questioni alla luce della normativa sugli aiuti di Stato”. Per questo pone all’Italia 17 domande sugli accordi con Ibm (o, eventualmente, con altre aziende).
La Commissione domanda innanzitutto “l’elenco completo degli accordi in vigore tra le autorità italiane e Ibm” e “tutti i documenti che stipulano ciascuno di questi accordi”. Poi chiede di chiarire “come è stata selezionata Ibm/Softlayer Technologies Italia srl per attuare il progetto”, se “ci si è rivolti anche ad altri prestatori di servizi di analisi dei dati sanitari” e “per quali motivi è stata scelta Ibm/Softlayer Technologies Italia srl”. I lettori del Fatto sanno già che non c’è stata alcuna selezione, ma che l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, in affanno per non aver individuato un’idea o un progetto per riempire il buco nero delle aree Expo a molti mesi dalla fine dell’esposizione, nella primavera 2016 annuncia con grande clamore l’accordo con Ibm, che avrebbe “impiantato proprio a Milano il primo centro in Europa di Watson Health”, la piattaforma di cognitive computing per la raccolta e l’elaborazione di dati sanitari globali, con “investimenti per 150 milioni di dollari e almeno 400 giovani ricercatori assunti”.
Nel febbraio 2017 il Fatto quotidiano scopre che cosa Ibm aveva avuto in cambio: la promessa di poter disporre dei dati sanitari degli italiani, a partire da quelli degli abitanti nella regione più ricca, la Lombardia. Secondo i documenti confidenziali rivelati dal Fatto, erano stati promessi cartelle cliniche, prescrizione di farmaci, studi clinici attivi, diagnosi mediche storiche, informazioni fiscali, rimborsi, costi di utilizzo, prescrizioni ambulatoriali, trattamenti farmacologici con relativi costi, visite di pronto soccorso, schede di dimissioni ospedaliere e molto altro. Nel marzo 2017, il Fatto quotidiano scopre un nuovo documento confidenziale da cui si evince che, oltre ai dati, Renzi ha promesso a Ibm anche un finanziamento di 60 milioni di euro.
Ora l’Unione europea ne chiede conto, dopo che già il Garante italiano della Privacy ha chiesto chiarimenti a governo e Regione, senza aver ricevuto finora risposte esaurienti. La Commissione Ue chiede quali saranno i servizi e i prodotti “che sono stati o saranno forniti da Ibm nell’ambito dell’accordo” e quale sarà “il supporto e i servizi che sono stati o saranno forniti dalle autorità italiane”. Poi domanda quello che Renzi non ha mai chiesto a Ibm e cioè di chi saranno i “diritti di proprietà al termine dell’accordo per i prodotti potenziali sviluppati nell’ambito dell’accordo”.
Una sezione della lettera riguarda l’accesso ai dati e chiede di “fornire una descrizione generale (contenuto, periodo, dimensioni) dell’insieme di dati a cui ha accesso Ibm”, “quali sono esattamente le condizioni di accesso ai dati” e se per questo accesso “viene applicato un prezzo (esplicito o implicito)”. Poi la domanda numero 13 arriva al cuore del problema: chiede se “sarebbe possibile per un concorrente di Ibm/Softlayer Technologies Italia o per un’altra parte ottenere l’accesso agli stessi dati alle stesse condizioni”. Infine si domanda se “altre parti hanno chiesto l’accesso a dati analoghi”, se “la richiesta è stata accettata” e, “in caso negativo, per quali motivi è stato rifiutato l’accesso ai dati”. E ancora: “In passato un altro ente pubblico ha condiviso dati analoghi con altre imprese?”.
L’ultima sezione di domande, sull’economia degli accordi, chiede di chiarire “quali delle misure di cui beneficerà Ibm sarebbero concesse da enti pubblici”, facendo riferimento agli articoli del Fatto quotidiano che “citano in particolare una sovvenzione di 60 milioni di euro concessa dallo Stato a Ibm per l’insediamento a Milano”. In conclusione: “Si prega di quantificare il sostegno pubblico complessivo che riceverà Ibm/Softlayer Technologies Italia” e “quali dovrebbero essere gli effetti positivi per gli enti pubblici coinvolti nel progetto”. Ora all’Italia le risposte. In 20 giorni.
L’accordo. Il 31 marzo 2016, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, durante la sua visita all’Ibm a Boston, firma un accordo “per far aprire il centro europeo Ibm Watson a Milano, sulle aree Expo, con investimenti per 150 milioni di dollari e almeno 400 giovani ricercatori assunti”.
La contropartita. Il 15 febbraio 2017 il Fatto quotidiano scrive che in cambio l’Italia si è impegnata a fornire i dati sanitari degli italiani, a partire da quelli abitanti in Lombardia.
Anche i soldi. Il 19 marzo 2017 il Fatto rivela che l’Italia ha promesso anche di finanziare l’operazione Ibm Watson con 60 milioni di euro.
Le richieste. Dopo gli articoli del Fatto, il Garante per la Privacy chiede chiarimenti a governo e Regione Lombardia. Il 31 ottobre 2017 parte la lettera della Commissione europea.
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