Le cifre, nude e crude, raccontano un’altra storia sulla Milano in crescita trionfante
Sotto il vestito, niente. A smentire seccamente l’enfasi sulla Milano in crescita trionfante, a contraddire la narrazione gloriosa della città di Expo, di Giuseppe Sala e di Matteo Renzi, sono le cifre. I dati di Confindustria. Attenzione: della Confindustria ultrarenziana di Milano, schierata prima con Sala in corsa per diventare sindaco e poi con il Renzi del sì al referendum; la Confindustria Assolombarda di Milano e Monza che il 12 giugno si ritroverà al teatro alla Scala per il passaggio di consegne dal presidente uscente Gianfelice Rocca al nuovo eletto Carlo Bonomi.
Le cifre, dunque, dicono che nel 2016 il pil in Lombardia è cresciuto soltanto dell’1 per cento. È solo lo 0,3 per cento in più della crescita nazionale (+0,7 per cento). Nel 2015, anno di Expo, la crescita era stata ancor più modesta, lo 0,9 per cento, contro lo 0,7 nazionale. Insomma: l’effetto Expo, se c’è, è invisibile. Lo certifica Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza, elaborando dati Prometeia. Che ci sia poco da gioire per Milano lo confermano i dati sulla produzione manifatturiera: -8,3 per cento nel 2016. Vanno un po’ meglio le aziende più grandi, oltre i 200 addetti (che crescono di un risicato 3 per cento), male le aziende tra i 50 e i 200 addetti (-7,3 per cento) e malissimo quelle sotto i 50 addetti (-16,9 per cento). È sempre Assolombarda Confindustria Milano Monza a certificare i dati, in questo caso raccolti da Unioncamere Lombardia.
Vogliamo infierire? Andiamo a vedere i dati sugli impieghi finanziari a Milano. Sono i soldi dati dalle banche alle imprese per produrre: sono in calo costante dal 2009; nel 2015 di Expo sono ancora scesi (-7,4 per cento) e nel 2016 hanno dato solo segni flebili di ripresa (0,9 nel primo trimestre; 3,6 nel secondo; 5,9 a luglio e 6,4 ad agosto). Milano resta comunque sotto di ben 30 punti rispetto a prima della crisi del 2008, ci dicono le tabelle Assolombarda Confindustria elaborate su dati di Bankitalia.
Quella che continua a crescere è invece la ricchezza privata dei milanesi. Un picco negativo nel 2008, poi un incremento costante fino a oggi. I depositi bancari dei privati milanesi sono cresciuti dell’8,6 per cento nel 2015 e di circa il 7 per cento nel 2016. Fatto 100 l’indice del 2008, anno d’inizio della crisi finanziaria, i depositi bancari salgono fino a sfiorare oggi quota 150. Gli impieghi delle banche diretti alle imprese invece scendono e sono ora intorno a quota 70. I titoli a custodia delle famiglie ammontano a 220 miliardi; quelli delle imprese a 30. Dunque: a Milano cresce – e molto – la ricchezza privata delle famiglie, stentano la produzione e le aziende. Brutto segno, perché è la produzione che crea sviluppo futuro e ricchezza diffusa.
Carta canta: i dati di Confindustria cominciano anche a smentire la ricerca, curata dalla Sda Bocconi – e pagata con soldi Expo dalla Camera di commercio di Milano – secondo cui Expo avrebbe portato al Paese, nel periodo 2012-2020, ben 31,6 miliardi di produzione aggiuntiva, corrispondente a circa l’1 per cento della produzione nazionale. Per la Lombardia, nel medesimo arco temporale, la ricerca prevedeva un indotto economico di 18,7 miliardi di produzione aggiuntiva, con 8,6 miliardi di valore aggiunto e un impatto occupazionale di 132 mila unità annue. Per la sola Milano, era previsto un indotto economico di 16,1 miliardi, con un valore aggiunto di 7,4 miliardi e un impatto occupazionale di 115 mila unità di lavoro. Sarebbe bello poter constatare che queste meravigliose previsioni (a gettone) si stanno realizzando. Purtroppo non è così.