Anche 60 milioni a Ibm (oltre ai dati sanitari) per farla venire a Expo
Non solo i (preziosissimi) dati sanitari, ma anche finanziamenti per 60 milioni di euro: queste le contropartite che il governo italiano ha promesso a Ibm in cambio della decisione di venire a impiantare una sua sede sui terreni Expo, con un investimento previsto di 150 milioni di dollari. Con l’aiutino però di 30 milioni di euro concessi dal governo, ministero dello Sviluppo economico, e altri 30 dalla Regione Lombardia.
La strana storia di Ibm Watson a Milano inizia a Boston il 31 marzo 2016. Quel giorno, l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, in trasferta negli Stati Uniti, firma con i manager della multinazionale un “Memorandum of understanding” e annuncia con enfasi: “Abbiamo convinto Ibm a venire a Milano”. Dieci mesi dopo, il 15 febbraio 2017, il Fatto quotidiano rivela che, in cambio, Ibm pretende la consegna dei dati sanitari italiani. “Come presupposto per realizzare il Programma ed effettuare l’investimento”, è scritto nel documento confidenziale che abbiamo potuto vedere, “Ibm si aspetta di poter avere accesso – in modalità da definire – al trattamento dei dati sanitari dei circa 61 milioni di cittadini italiani (intesi come dati sanitari storici, presenti e futuri) in forma anonima e identificata, per specifici ambiti progettuali, ivi incluso il diritto all’utilizzo secondario dei predetti dati sanitari per finalità ulteriori rispetto ai progetti”.
Ora il Fatto è riuscito a leggere anche la “Proposta di contratto di sviluppo industriale”, un documento Ibm anch’esso classificato confidenziale e datato 26 gennaio 2017. Chi propone il contratto è SoftLayer Technologies Italia srl, una società Ibm, che si rivolge al ministero dello Sviluppo economico e a Invitalia, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti, di proprietà del ministero dell’Economia. L’obiettivo del contratto: impiantare a Milano il primo centro in Europa del Watson Health, il programma Ibm di intelligenza artificiale per la salute.
Il progetto è quello di “ricevere e trattare dati già anonimizzati” e “Protected Health Information (Phi), cioè dati personali e dati personali sensibili”: quelli dei pazienti, delle cure, dei farmaci, degli studi clinici, del registro dei tumori; e poi i dati genomici, demografici, le diagnosi mediche storiche, i rimborsi e costi di utilizzo, le condizioni e procedure mediche, le prescrizioni ambulatoriali, i trattamenti farmacologici con relativi costi, le visite di pronto soccorso, le schede di dimissioni ospedaliere (sdo), le informazioni sugli appuntamenti, orari e presenze…
Insomma: ogni informazione sulla salute dei 61 milioni di italiani, a partire, tanto per cominciare, da quelli che vivono in Lombardia. Ne nascerebbe, in casa Ibm, un Grande Fratello della Salute, con i “diritti all’uso per la memorizzazione ed elaborazione di tali dati a fini progettuali, nonché per l’utilizzo dei dati anonimizzati” anche “per finalità ulteriori e ultronee”. Le finalità descritte sono benemerite: “Generare strategie per la cura appropriata e coordinata”; “migliorare la gestione di cluster di pazienti ad alto rischio e alto bisogno, riducendo i costi per il gestore del servizio e migliorando i risultati per il paziente”; dare a cittadini e imprese la possibilità di consultare più facilmente il patrimonio di informazioni della pubblica amministrazione. E poi realizzare progetti di ricerca sui “big data”, sulle malattie infettive, la cura degli anziani, l’oncologia predittiva di precisione.
Ottimi propositi, da tenere però rigorosamente segreti: “Tutte le informazioni contenute all’interno del presente documento e/o comunque inerenti al Programma e ai Progetti connessi al Contratto di sviluppo sono da intendersi strettamente confidenziali tra Ibm e Invitalia” e “non potranno pertanto essere rivelate a terze parti e/o rese in alcun modo pubblicamente disponibili senza il preventivo consenso scritto di Ibm e mediante la sottoscrizione di un apposito preventivo accordo di confidenzialità tra le parti interessate”.
Comunque sia, dopo aver sviluppato il programma grazie ai dati sanitari pubblici, Ibm si tiene stretta anche la proprietà dei risultati finali: “Ibm manterrà la proprietà intellettuale pre-esistente dell’intera piattaforma Cognitive (Ibm Watson)” e “delle nuove soluzioni Watson e degli strumenti che risultino sviluppati”. Inoltre “manterrà la proprietà intellettuale dei risultati della ricerca, ma ne darà licenza d’uso alle altre eventuali parti progettuali”. Libera di utilizzare i dati raccolti “anche per finalità ulteriori a quelle progettuali”.
E i soldi? Nella “bozza confidenziale”, Ibm precisa che “non intende ricevere qualsiasi forma di incentivo economico che non sia compatibile con il mercato interno”. Sono incentivi compatibili, invece, i 60 milioni che Ibm vorrebbe ottenere, metà dal ministero dello Sviluppo economico e metà dalla Regione Lombardia.
A Milano, della partita Ibm si stava occupando Danilo Maiocchi, direttore generale dello Sviluppo economico della Regione. Cinque giorni fa, la Procura di Milano ha mandato la Guardia di finanza a perquisire i suoi uffici e gli ha comunicato che è indagato, per finanziamenti regionali erogati a imprese che, per ottenerli, si rivolgevano a sue società private. Altra vicenda, rispetto a Ibm Watson. I vertici della Regione non nascondono comunque la contrarietà a sborsare i 30 milioni, come pretende il governo. Hanno anche chiesto un parere al Garante per la privacy, che ha risposto con una richiesta di chiarimenti, che la Regione dovrà inviare a Roma entro domani, 20 marzo 2017.
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