Expo per la giustizia. Il Fatto nel 2014 scriveva…
L’8 e il 9 febbraio 2017 la Guardia di finanza, mandata dall’Anac di Raffaele Cantone, si è presentata a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, per chiedere i documenti sugli appalti per 16 milioni di euro, affidati senza gara, di fondi Expo per la giustizia. Ecco due articoli sull’argomento pubblicati sul “Fatto quotidiano” nel 2014 e 2016.
Fondi Expo senza gara (16 milioni di euro!) per il palazzo di giustizia che deve indagare sugli appalti Expo. Quando questa notizia è apparsa sul Fatto e sul sito giustiziami.it a qualcuno devono essere partire le palpitazioni. Tanto che è stata convocata una riunione per cercare di rimediare. E ora la musica cambia: gare per tutto. Alla riunione erano presenti, da una parte, coloro che erogano e gestiscono i fondi, cioè i rappresentanti del ministero della Giustizia e del Comune di Milano; dall’altra, coloro che li devono utilizzare, e cioè Tribunale e Corte d’appello, Procura e Procura generale, oltre a Tribunale dei minori e Giudice di pace. Così una vicenda non proprio trasparente iniziata due anni fa è ora diventata palese, come racconta il verbale della riunione. Tutto nasce dal pacco regalo (con dentro, appunto, ben 16 milioni d’investimenti) per rendere “smart”, cioè informaticamente efficiente, il palazzo di giustizia di Milano in occasione di Expo 2015. In un paio d’anni vengono spesi circa 10 milioni, quasi tutti ad affidamento diretto. Li incassano, tra gli altri, Elsag Datamat, gruppo Finmeccanica (1,4 milioni) e Net Service (1,8 milioni) che lavorano per realizzare il Processo Civile Telematico.
Niente gare, in nome della “continuità tecnologica”: prosegue i lavori chi li ha già iniziati in passato. Coinvolti soltanto il Tribunale guidato da Livia Pomodoro e l’“ufficio innovazione” di cui è responsabile il gip Claudio Castelli. Tenuti fuori dai giochi Corte d’appello, Procura generale e Udi (Ufficio distrettuale informatica). Adesso il presidente della Corte d’appello, Giovanni Canzio, scende in campo pretendendo che per i 6 milioni non ancora spesi siano assegnati con gara. E la rappresentante della Procura generale, Laura Berolé Viale, chiede perché la cifra destinata a “segnaletica, dotazione informatica e software” sia passata nel giro di un mese da 1,5 milioni (settembre 2014) a quasi 3 milioni (ottobre), prosciugando così la metà dei fondi ancora da spendere (tolti così agli uffici lasciati finora a bocca asciutta, che aspettavano la realizzazione della “Consolle informatica” per la Corte d’appello e la “Unep”, cioè il sistema che rende elettroniche le notifiche dei provvedimenti giudiziari).
La svolta, alla fine, c’è: da qui in avanti si faranno le gare. La “continuità tecnologica” non vale più. Ma allora perché finora valeva? Nessuno risponde. Il rappresentante del Comune, Carmelo Maugeri, tenta invece di spiegare il raddoppio dei costi per la segnaletica del Palazzo: i fondi Expo devono andare almeno per il 50 per cento in software e nel rendiconto di settembre ci si era “superficialmente” dimenticati di aggiungere 1 milione di hardware. È invece la direttrice generale del Dgsia (Direzione generale per i sistemi informativi del ministero della Giustizia), Daniela Intravaia, a comunicare durante la riunione che non ci sono più i presupposti per la “continuità” negli appalti: anche perché la Corte dei conti potrebbe avere qualcosa da eccepire. Ora per realizzare il sistema di notifica elettronica dei provvedimenti giudiziari si farà una gara europea. “È stata una doccia fredda”, si legge nel verbale. Era già pronta una società individuata con affidamento diretto.
(Il Fatto quotidiano, 11 novembre 2014)
Basta girare per il palazzo di giustizia di Milano per vedere i grandi schermi tv che dovrebbero dare informazioni: installati da oltre due anni, ma ancora desolatamente spenti e scollegati. Sono il lascito di Expo. Per rendere “smart” la giustizia in occasione dell’esposizione universale, sono arrivati parecchi soldi (16 milioni di euro). Assegnati per lo più senza gara. Solo nell’estate 2014 qualche magistrato milanese (Laura Bertolè Viale, Giovanni Canzio…) se ne accorge e chiede procedure più trasparenti.
Non pare che le abbia ottenute: di nuove gare non c’è traccia e ora della vicenda si occupa anche l’Autorità antitrust, che ha aperto un’istruttoria su Net Service, azienda bolognese (ex gruppo Finmeccanica) che nel 2001 e 2004 si aggiudica le gare “madri” per la progettazione, realizzazione e gestione dell’infrastruttura centrale del Processo civile telematico (Pct) e poi domina il mercato con affidamenti diretti per continuità con quelle gare. Ora l’Antitrust dovrà dire se ci sono state “condotte ostruzionistiche e discriminatorie” che hanno impedito la concorrenza e costituito una posizione dominante. È quanto sostiene Assogestionali, l’associazione di imprese del settore che, assistita dall’avvocato Carlo Piana, ha mandato un esposto al Garante sostenendo che Net Service “impedisce l’accesso di altri produttori di software applicativi per il Pct sul mercato italiano”.
Quel che già si sa è che il Processo civile telematico e i software connessi in molte sedi giudiziarie funzionano malissimo o non funzionano affatto. A Milano, accanto a ciò, il Tribunale ha assegnato, con soldi Expo del ministero della Giustizia, incarichi diretti ad aziende tramite la mediazione della Camera di commercio come stazione appaltante: procedura dichiarata illegittima dall’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone e finita sotto indagine della Procura. Insomma: su gare e appalti, i magistrati milanesi hanno problemi anche in casa.
(Il Fatto quotidiano, 23 maggio 2016)