Expo per la giustizia. Il buco nero degli appalti senza gara
L’8 e il 9 febbraio 2017 la Guardia di finanza, mandata dall’Anac di Raffaele Cantone, si è presentata a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, per chiedere i documenti sugli appalti per 16 milioni di euro, affidati senza gara, di fondi Expo per la giustizia. Ecco le pagine sull’argomento pubblicate sul libro del 2015 “Excelsior. Il gran ballo dell’Expo” di Gianni Barbacetto e Marco Maroni (Chiarelettere).
Ben 16 milioni di euro sono arrivati anche per il Palazzo di Giustizia di Milano, quello che ha il compito di indagare su Expo. Sono piovuti in maniera poco trasparente e senza gare. A gestirli non è la società Expo Spa, ma il ministero della Giustizia (in particolare il Dgsia, cioè la Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del ministero), in collaborazione con i funzionari del Comune di Milano che si occupano della gestione materiale del Palazzo. I finanziamenti arrivano per rendere «smart», ossia informaticamente efficienti, gli uffici giudiziari milanesi in occasione di Expo 2015. In un paio d’anni vengono spesi circa 10 milioni, quasi tutti ad affidamento diretto. I primi finanziamenti sono deliberati nel 2010 dalla giunta di centrodestra di Letizia Moratti; gli altri, dal 2011 al 2014, dalla giunta di centrosinistra di Giuliano Pisapia. Sono tutti fondi governativi per l’informatizzazione della giustizia. Li incassano, tra gli altri, Elsag Datamat, società del gruppo Finmeccanica (1,4 milioni) e Net Service (1,8 milioni) che lavorano per realizzare il Processo civile telematico. Niente gare, in nome della «continuità tecnologica» prevista dall’articolo 57 del Codice degli appalti: prosegue i lavori chi li ha già iniziati in passato.
Così sono appaltati i lavori per realizzare la «consolle del magistrato», cioè il sistema informatico delle toghe per il Processo civile telematico; per il «cruscotto del presidente» che consente al capo dell’Ufficio di esercitare un monitoraggio costante e proattivo dei singoli fenomeni d’interesse; (…). Nel 2013, i fondi Expo sono utilizzati per realizzare il sito internet e intranet del Tribunale di Milano, affidati, chissà perché, alla Camera di commercio di Milano: ufficialmente in nome della «segretezza e riservatezza» necessarie in questo caso; ma la Camera di commercio può vantare soltanto di aver realizzato, in passato, il sito per rendere pubbliche – e non segrete – le aste giudiziarie.
Nel 2014, infine, 30.000 euro arrivano alla RedTurtle
Technology per l’evoluzione del «sistema di gestione Easydoc
Portal». E poi compaiono 180 grandi monitor Samsung disseminati
in tutto il Palazzo, negli androni, nei corridoi, fuori
dalle aule. Devono fornire informazioni agli utenti, aiutarli
a orientarsi nell’edificio-labirinto e dare corpo al sistema
«udienza facile» per segnalare i processi in corso.
Nell’estate 2014 il sistema degli affidamenti diretti s’inceppa,
dopo essere stato rivelato dal sito giustiziami.it che mette in
rete i documenti degli appalti. Con grande imbarazzo di molti
magistrati e di qualche capo degli uffici giudiziari, all’oscuro di
tutto. Coinvolti nella gestione dei fondi erano infatti, fin dall’inizio,
il Tribunale retto da Livia Pomodoro e l’Ufficio innovazione
di cui è responsabile il gip Claudio Castelli, che partecipavano
attivamente al Tavolo Giustizia della città di Milano, ossia
l’organismo che ha discusso una lunga serie di finanziamenti
«per adeguare gli uffici giudiziari nella città che ospiterà l’Expo
2015». Livia Pomodoro è anche presidente del Milan Center For
Food Law and Policy, il centro di documentazione e studio sulle
norme e sulle politiche pubbliche in materia di alimentazione,
nato nel febbraio 2014 per iniziativa di Expo Spa, Comune di
Milano, Regione Lombardia e Camera di commercio.
Dalle discussioni per i fondi Expo per la giustizia erano
rimasti esclusi la Corte d’appello, la Procura generale e l’Ufficio
distrettuale per l’informatica (Udi). Dichiara il presidente
della Corte d’appello, Giovanni Canzio: “La Corte d’appello e la Procura generale sono state completamente
estranee alla fase contrattuale. Di questi contratti non sappiamo
niente e non vogliamo sapere niente”.
Spiega invece il responsabile innovazione del Tribunale, Claudio
Castelli: “Su queste vicende circolano delle grandi falsità. Per il Processo
civile telematico sono stati firmati contratti complementari ad
altri che erano stati assegnati con gara. Sempre in accordo con il
ministero della Giustizia. Per assegnare i lavori per la realizzazione
dell’Ufficio relazioni con il pubblico (Urp) è stata indetta addirittura
una gara europea”.
Realizzato con fondi Expo ed entrato in funzione nell’autunno
2014, l’Urp è il sistema che deve accogliere il pubblico, informarlo
e indirizzarlo nell’ufficio o nell’aula giusta.
La svolta, comunque, avviene il 15 ottobre 2014, quando
Canzio pretende una riunione a cui partecipano i rappresentanti
di tutti gli uffici giudiziari (Tribunale e Corte d’appello,
Procura e Procura generale, oltre a Tribunale di sorveglianza,
Tribunale dei minori e giudice di pace), insieme al direttore
generale del Dgsia del ministero, Daniela Intravaia, e al direttore
gestione uffici giudiziari del Comune di Milano, Carmelo
Maugeri. In quel lungo e teso incontro viene deciso di cambiare
passo.
Il presidente della Corte d’appello Canzio pretende che i 6
milioni non ancora spesi siano assegnati con gara e impiegati in
servizi utili anche agli uffici giudiziari che fino a quel momento
non avevano goduto dei finanziamenti. E la rappresentante
della Procura generale, Laura Berolé Viale, chiede perché la
cifra destinata a «segnaletica, dotazione informatica e software»
nel giro di un mese sia passata da 1,5 milioni (settembre) a
quasi 3 milioni (ottobre 2014), prosciugando così la metà dei
fondi ancora da spendere e togliendoli agli uffici rimasti a bocca
asciutta, che aspettavano la realizzazione della «consolle informatica
» per la Corte d’appello e la Unep, cioè il sistema che
rende elettroniche le notifiche dei provvedimenti giudiziari.
Il rappresentante del Comune, Carmelo Maugeri, tenta di
spiegare il raddoppio in 30 giorni dei costi per la segnaletica del Palazzo: i fondi Expo devono per legge essere impiegati
almeno per il 50% in software e nel rendiconto di settembre ci
si era «superficialmente» dimenticati di aggiungere un milione
di hardware.
Dalla riunione del 15 ottobre, comunque, si faranno le gare.
La «continuità tecnologica» non vale più. Ma allora perché
fino a quel momento valeva? Tenta una risposta la direttrice
generale del Dgsia Daniela Intravaia, che durante la riunione
comunica che non ci sono più i presupposti per la «continuità»
negli appalti, anche perché la Corte dei conti potrebbe avere
qualcosa da eccepire. Così per realizzare il sistema di notifica
elettronica dei provvedimenti giudiziari si indice una gara
europea. «È stata una doccia fredda» si legge nel verbale: era
già pronta una società individuata con affidamento diretto.
Così i tempi si allungano e il Palazzo di Giustizia non riuscirà
a presentarsi «smart» all’appuntamento con Expo.