La mafia diventa teatro (civile)
Negare che la mafia esista non si può più. Lo si faceva fino a vent’anni fa in Sicilia e fino a pochi anni fa a Milano e al Nord, ma ora no, è impossibile anche qui. Come raccontarla, però? Come toglierla dal caos dell’indifferenza o del “tutto è mafia”? Una bella risposta viene da uno spettacolo teatrale, “Dieci storie proprio così”, in scena a Milano, al Piccolo Teatro Grassi, fino al 29 gennaio. È nato da un’idea di Giulia Minoli che ne firma la drammaturgia insieme alla regista Emanuela Giordano: sono storie vere di persone che hanno incontrato la mafia, raccontate ai ragazzi delle scuole, ma non solo. Sono già 30 mila gli studenti che sono stati coinvolti.
L’uccisione dell’imprenditore Libero Grassi che a Palermo si è rifiutato di pagare il pizzo. Le stragi dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La morte di Peppino Impastato. E poi, via via, tante altre storie vere che vengono portate in teatro, in uno spettacolo che cambia e si arricchisce con il passare del tempo e si trasforma a seconda della città dove viene messo in scena. Le autrici ascoltano e studiano i luoghi del loro viaggio in Italia che diventa una tournè, insieme, del teatro e della resistenza civile. Così a Milano hanno collaborato con il professor Nando dalla Chiesa, che per primo ha avviato un corso universitario di sociologia della criminalità organizzata, e con i suoi studenti.
Il risultato è che sulla scena, accanto alle storie che vengono dal Sud, dalla Sicilia, dalla Campania, dalla Calabria, ora prendono voce anche personaggi protagonisti di vicende accadute a Milano e dintorni. La storia di Ester Castano, giovane cronista che nel 2012 ha raccontato su un giornale locale l’infezione criminale di Sedriano, hinterland milanese, anticipando il lavoro dei magistrati e ricevendo in cambio più di una querela dal sindaco. E la storia di Maria Ferrucci, ex sindaca di Corsico, e della sua opposizione alle infiltrazioni mafiose nella locale “sagra dello Stocco”, organizzata dal genero di un boss di ’ndrangheta.
Gli spettatori entrano nel dramma messo in scena da sette attori e due musicisti e corrono in un fiato dagli attentati del 1992 contro Falcone e Borsellino fino alle vicende di Mafia Capitale, con le infiltrazioni negli appalti pubblici e i poteri che hanno messo le mani su Ostia, dove il municipio è stato sciolto per mafia e dove il mare è lì a pochi metri, ma non si vede per colpa delle costruzioni sulla spiaggia. Messo in scena per la prima volta al Teatro San Carlo di Napoli nel 2011, lo spettacolo dà voce ai parenti delle vittime di mafia e ai volontari di cooperative e associazioni che lottano contro le organizzazioni criminali, a chi sotto i colpi delle mafie è caduto, ma anche a chi le mafie le ha combattute e le combatte con iniziative di impegno civile o, semplicemente, portando avanti il proprio lavoro con rigore e onestà.
Come Addiopizzo, il movimento nato a Palermo per contrastare il racket delle estorsioni all’insegna del motto: “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. O come Radio Siani, dedicata alla memoria del giornalista Giancarlo Siani ucciso dalla camorra. Lo spettacolo, prodotto in collaborazione da Piccolo Teatro, Teatro Nazionale di Roma, Stabile di Napoli e Stabile di Torino, è una delle iniziative del “Palcoscenico della legalità”, un progetto che coinvolge anche scuole e carceri minorili. Venti ragazzi detenuti negli istituti penali di Palermo e Aiuola (Benevento) hanno partecipato a laboratori di formazione professionale legati ai mestieri del teatro e uno di loro oggi lavora come tecnico al San Carlo di Napoli. Lo spettatore esce da teatro con questa frase nelle orecchie: “A chi ti dice ‘non sono affari miei’, non ci credere. Sono affari di tutti”.