Formigoni condannato, la caduta del Celeste Impero
Che cosa rimane del Celeste Impero di Roberto Formigoni? Ieri, 22 dicembre 2016, è stato condannato a 6 anni di reclusione e gli sono stati confiscati beni per 6,6 milioni di euro. Per i giudici di primo grado, l’ex presidente della Regione Lombardia è colpevole del reato di corruzione: avrebbe favorito le cliniche private della Fondazione Maugeri in cambio di regali milionari ricevuti per anni: viaggi, vacanze, finanziamenti e un megasconto sull’acquisto di una villa in Sardegna. Le foto estive sugli yacht forniti da Pierangelo Daccò, il lobbista della Maugeri, sono entrate a far parte dell’album dei ricordi della Seconda Repubblica. Così le infinite polemiche sugli “scontrini” e “le ricevute” delle “vacanze di gruppo”: “Faccio vacanze di gruppo come tutti gli italiani”, dichiarò Formigoni dopo lo scandalo. “Si va in ferie tutti insieme, uno paga una cosa, uno l’altra. Chi pensa al viaggio, chi alle escursioni. Alla fine si fanno i conti e si conguaglia”. Dei conguagli del Celeste però non si è trovata traccia, a pagare era sempre Daccò, cioè la Maugeri, in cambio di delibere favorevoli che hanno pesato sulle casse della Regione, dunque sulle tasche dei cittadini.
Tra le molte esternazioni di Formigoni, ce n’è una del 1997 destinata a restare memorabile: “Da piccolo volevo fare il pilota di Formula 1 o il collaudatore di vacanze: andare in giro in posti bellissimi ed essere pagato per questo”. Sogno realizzato, a giudicare dalla sentenza: il Celeste l’ha fatto, il “collaudatore di vacanze”, andando in giro “in posti bellissimi” senza scucire un euro per quasi un decennio.
Sono passati quattro anni da quando scoppiò lo scandalo, nel 2012, e si avviò il processo. Il presidente, dopo molte resistenze, fu costretto a lasciare il suo ufficio in cima al suo nuovo grattacielo, non troppo distante dal Pirellone, che qualcuno aveva ribattezzato “il Formigone”. Ormai quell’ufficio, che il Celeste si vantava di illuminare con diversi colori, dal rosso al verde al blu, a seconda del suo umore, è occupato da Roberto Maroni, uno dei padri della Lega spesso in contrasto con Matteo Salvini. Maroni si vanta di aver “deformigonizzato” la Regione, tagliando il potere degli uomini di Comunione e liberazione che presidiavano saldamente interi settori dell’amministrazione e in primo luogo gli ospedali e la sanità, che è la parte maggiore del budget pubblico regionale. È vero solo in parte: molti uomini di Cl restano dentro le strutture sanitarie e nella rete decisionale dell’amministrazione, ma è indubbio che sia tramontato il loro strapotere nel gangli della Regione.
A ben guardare, sembra che lo scandalo Formigoni abbia fatto bene anche a Cl. Non ha mai preso nettamente le distanze dal suo uomo: la “fraternità” non abbandona mai nessuno. Ma il suo presidente, Julián Carrón, il successore di don Luigi Giussani, ha impresso una svolta dopo lo scandalo. Nella famosa lettera che inviò a Repubblica, scrisse: “Se il movimento di Comunione e liberazione è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo averlo dato”. A rileggerle oggi, queste parole sono una condanna perfino più irrevocabile di quella giudiziaria. E dovrebbero far riflettere i tanti uomini di Cl restati in politica, ormai spalmati a destra e a sinistra: se ancora il movimento è chiamato “Comunione e fatturazione” qualche domanda dovrebbero porsela.