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Ecco come Sala “aggiustava” l’appalto Expo della “piastra”

Ecco come Sala “aggiustava” l’appalto Expo della “piastra” EDA-Generalsekretaer Roberto Balzaretti, Mitte, Expo 2015 Generaldirektor Giuseppe Sala, rechts, und Roberto Formigoni, Praesident der Region Lombardei, links, posieren nach der Vertragsunterzeichnung am Donnerstag, 27. Oktober 2011, in der Villa Erba in Cernobbio, Italien. Die Schweiz ist das erste Land, das seine Teilnahme an der Expo Milano 2015 bestaetigt und den Vertrag mit der Organisation unterzeichnet hat. (KEYSTONE/Karl Mathis)

Milano è “capitale dell’antimafia”, ha detto ieri il sindaco Giuseppe Sala. È ritornata capitale morale, diceva qualche tempo fa lo zar dell’Anticorruzione Raffaele Cantone. Non sembra, a sentire uno del ramo: “La piazza di Milano non è una piazza semplice, ma assai chiusa per la presenza di un sistema spartitorio degli appalti. Nel senso che vi è una spartizione di massima con riguardo al settore della sanità e del settore delle infrastrutture e costruzione di grandi opere; il primo settore controllato dal sistema delle cooperative e dalla Compagnia delle Opere, la seconda dal gruppo delle grandi imprese nazionali di costruttori, con prevalenza di quelle milanesi”.

A mettere a verbale queste parole, il 25 maggio 2015, è l’imprenditore della Mantovani spa Piergiorgio Baita, indagato per il più grande degli appalti Expo (165,1 milioni di euro), quello della “piasta”, l’infrastruttura di base su cui è stata poi costruita tutta l’esposizione universale. Il suo racconto è contenuto nelle carte dell’indagine per corruzione e turbativa d’asta che il gip Andrea Ghinetti non vuole sia chiusa. Invece di accettare la richiesta d’archiviazione ricevuta dai pm della Procura di Milano (Roberto Pellicano, Paolo Filippini e Giovanni Polizzi), ha fissato un’udienza l’11 novembre per decidere se disporre nuove indagini, l’imputazione coatta, oppure accettare l’archiviazione.

Non sappiamo se ci sono le prove per contestare reati penali agli imputati e agli altri protagonisti del caso “piastra”, ma non è una storia edificante, quella del più ricco appalto Expo, scritta nelle pagine dell’inchiesta. La Mantovani lo vince a sorpresa, con un ribasso da brivido del 42 per cento. Scavalca Impregilo e Pizzarotti, che si sentivano i vincitori designati. In effetti, il ribasso della Mantovani è tale da far ritenere l’offerta anomala, dunque la gara non valida. È quello che vorrebbe Antonio Rognoni, ai tempi boss di Infrastrutture Lombarde, l’appaltificio della Regione allora presieduta da Roberto Formigoni: “È stata fatta una graduatoria senza verificare o esplicitare il superamento della soglia dell’anomalia”, dichiara Rognoni ai magistrati.

Baita, dal canto suo, denuncia “una forte spinta politico-amministrativa per far abbandonare alla Mantovani l’appalto” e sostiene che “il progetto della piastra, così come licenziato dalla stazione appaltante, era assolutamente irrealizzabile senza sostanziali varianti che avrebbero conseguentemente modificato sensibilmente le condizioni contrattuali”. Chiede modifiche e più soldi. Sala, allora commissario Expo, lo accontenta: vuole andare avanti a ogni costo, anche “aggiustando” le cose in corsa, anche modificando “le condizioni contrattuali pattuite originariamente sulla base del progetto del bando”. Rognoni racconta a verbale: “Sono andato da Sala e ho spiegato i motivi per cui mi sembrava irragionevole l’offerta della Mantovani. Sala mi ha risposto che loro avrebbero proseguito con questo orientamento perché non avevano tempo per verificare se l’offerta era anomala o meno”. Avanti tutta.

Rognoni indica, “come principale modalità per far recuperare profitto alla Mantovani, il meccanismo di concordare i prezzi sulle nuove opere senza procedere a verificare la congruità del prezzo pattuito e comunque slegando il valore delle nuove opere dal ribasso di gara, in tal modo l’impresa appaltatrice veniva indirettamente ristorata per i lavori eseguiti sottocosto in forza dell’offerta anormalmente bassa con cui si era aggiudicata la gara”. Lo conferma un altro manager di Expo, Carlo Chiesa, che parla di “accordo condiviso finalizzato a far recuperare margini di profitto alla Mantovani”. Altro che “capitale morale”: la Milano di Expo e di Sala è la città del “veniamoci incontro”, dell’“aggiustiamo le cose”. Le regole? Un lusso.

La piastra.
È il più grosso appalto Expo, valore 272 milioni, vinto il 3 agosto 2012 da Mantovani spa con un’offerta di soli 165,1 milioni. Il commissario Sala poi “aggiusta” le cose concedendo alla Mantovani prezzi più alti per nuovi lavori, in modo da compensare il mega-ribasso iniziale. L’inchiesta della Procura di Milano è azzoppata dallo scontro tra il procuratore Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Alfredo Robledo. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ringrazierà poi Bruti per la sua “sensibilità istituzionale”.

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Ora i documenti dell’inchiesta sulla piastra spiegano perché, per esempio, i 6 mila alberi di Expo, comprati in un vivaio a 266 euro l’uno, sono stati pagati da Sala alla Mantovani 716 euro l’uno. Contratto affidato nel luglio 2013, senza gara, alla Mantovani per un importo di 4,3 milioni. La Mantovani nel novembre successivo stipula un contratto di subfornitura con un’impresa vivaistica per 1,6 milioni.

Il Fatto quotidiano, 29 ottobre 2016
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