PERSONE

La casa di Dario e Franca: continui a essere la casa di tutti

La casa di Dario e Franca: continui a essere la casa di tutti

Non ricordo quando entrai per la prima volta nella casa milanese di Dario Fo e Franca Rame, a Porta Romana. Erano tanti anni fa e quella casa era una specie di porto di mare, dove giravano tante persone, si lavorava, ci si incontrava, si facevano riunioni, si sviluppavano discussioni. Io ero di certo un po’ spaesato. Più che un appartamento, mi sembrava una allegra sede politica, molto simile a quelle case o negozi o scantinati dove negli anni Settanta si discuteva felicemente sconclusionati e si facevano attività e iniziative ai tempi dei “movimenti”.

Lì, a Porta Romana, vedevo lo stesso impegno, la stessa passione, la stessa “militanza” di allora, senza però gruppi organizzati, linee politiche, ideologie, capi e capetti. Una “anarchizzazione felice” dell’impegno militante. Ricordo le riunioni per preparare una manifestazione a Roma che aveva a che fare con le stragi nere e con la infinita e in Italia sempre frustrata ricerca della verità e giustizia.

Ricordo benissimo, invece, quando andai, incredulo, a dare l’ultimo saluto a Franca, che se n’era andata poche ore prima e riposava immobile sul letto. Ma come, mi dicevo, ora non mi arriveranno davvero più le sue telefonate indignate e spiritose, sempre a chiedere un chiarimento o a proporre un’iniziativa o a suggerire un tema per un articolo (“Scrivilo!”)? Quel giorno Dario era frastornato dal dolore e insieme mangiammo un riso in brodo, in cucina, cercando di chiacchierare come se Franca potesse tornare.

Infine anche Dario ci ha lasciato, e non mi pareva possibile. Ormai credevo fosse eterno. L’avevo visto recitare il “Mistero buffo” pochi mesi prima, al Ciak. Alle prove non aveva voce, ma sul palco tutto tornò come doveva essere. E l’avevo visto pochi giorni prima, proprio nel salotto di casa, a presentare il suo ultimo libro (Darwin. Ma siamo scimmie da parte di padre o di madre?).

Ora il grande appartamento di Dario e Franca – pieno di libri, opere, lavori, dipinti, sculture, echi, ricordi – è silenzioso. Non c’è più quell’allegro casino che mischiava arte, teatro, pittura e passione politica. Ma gli ingredienti di quella magia sono ancora tutti lì. Milano, l’Italia, li deve preservare. Mica si può svuotare l’appartamento e affidarlo a un agente immobiliare.

Quella è già in sé una casa-museo e spero che prestissimo il ministero della Cultura lo ufficializzi facendola diventare una “casa d’artista”, come sta chiedendo Maria Teresa Pizza, docente alla Sapienza, ex assistente di Franca Rame e oggi curatrice del Museo-archivio-laboratorio Dario Fo-Franca Rame di Verona, dove sarà messo a disposizione del pubblico tanto materiale proveniente da anni di lavoro teatrale (e non solo) dei due artisti. Spero che anche il Comune di Milano accetti di collaborare alla creazione e alla gestione della “casa d’artista” di Dario Fo e Franca Rame.

Dario e Franca non ci sono più, eppure il loro lavoro culturale sta proseguendo a pieno ritmo. A continuarlo sono, insieme a Maria Teresa Pizza, i tre assistenti che negli ultimi anni hanno lavorato nella grande casa di Porta Romana e in quella di Cesenatico (che potrebbe diventare anch’essa “casa d’artista”). Ci sono mostre in corso di organizzazione in Italia e all’estero (come quella a New York), ci sono i contatti da tenere con tante compagnie teatrali in tutto il mondo, c’è la promozione degli spettacoli, c’è la pubblicazione dei libri di Dario e Franca all’estero.

Il figlio Jacopo, che ha salutato il padre, al funerale, con parole indimenticabili, ha già dato la sua disponibilità. Ora tocca al ministero e al Comune trovare le forme per far continuare nel tempo il miracolo di Porta Romana.

Il Fatto quotidiano, 11 novembre 2016
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