POLITICA

La sentenza di Milano slitta, il referendum non può saltare

La sentenza di Milano slitta, il referendum non può saltare

Nella mattinata di ieri, 3 novembre 2016, l’ex presidente della Camera Luciano Violante dichiara ai microfoni di Radio Anch’io, Radio 1 Rai, che è in arrivo la decisione del giudice civile che potrebbe far slittare la data del referendum sulla riforma costituzionale: “Credo che oggi pomeriggio uscirà la sentenza del tribunale di Milano sul ricorso di Onida”. Poco dopo, al tribunale di Milano annunciano invece ufficialmente che no, il giudice non deciderà “prima di dieci giorni”. La decisione è quella sul ricorso presentato dall’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida, il quale contesta che il referendum possa mettere tante materie diverse sotto un unico quesito a cui rispondere con un sì o un no: perché così l’elettore si trova a dover decidere su “un intero pacchetto, senza poter valutare le sue diverse componenti”.

La questione è arrivata sul tavolo della giudice Loreta Dorigo che l’ha discussa lo scorso 27 ottobre. Da allora, ogni giorno potrebbe essere buono per il deposito della decisione. I cronisti del palazzo di giustizia di Milano si sono dunque messi in paziente attesa. Mercoledì 2 novembre hanno chiesto direttamente alla giudice quando avrebbe deciso, senza ottenere alcuna indicazione, neppure generica. Ieri, giovedì 3 novembre, hanno atteso eventuali notizie nel corridoio fuori dalla stanza dove Dorigo lavora. È la stampa bellezza. Stupita di trovare i giornalisti davanti alla sua porta, la giudice ha scambiato qualche battuta con loro, sostenendo che la loro attesa fosse del tutto inutile.

I cronisti hanno risposto che attendere le notizie è il loro lavoro. Intanto a dar man forte a Dorigo arrivava la presidente della sezione del tribunale civile in cui la giudice lavora, Paola Maria Gandolfi, che ha pregato di non assediare l’ufficio e di lasciare in pace la magistrata, che deve decidere con serenità e senza subire pressioni esterne. I giornalisti si spostavano di qualche metro, cambiando panca su cui attendere le notizie. Allora la presidente Gandolfi convocava i cronisti nel suo ufficio, dove comunicava che comunque la decisione sarebbe stata assunta da Dorigo in piena autonomia, ma certamente “non prima di una decina di giorni”.

Se così sarà, il deposito non avverrà prima della settimana del 14 novembre. Veramente tardi per fermare la macchina del voto, previsto per il 4 dicembre. Anche perché le operazioni di voto per corrispondenza degli italiani all’estero cominciano proprio il 14 novembre. “Né il giudice civile di Milano, né la Corte costituzionale potranno sospendere il referendum”, sostiene il professor Alessandro Pace, presidente del comitato del No. Il giudice civile, infatti, ha davanti a sé tre possibilità: respingere il ricorso Onida per ragioni procedurali; respingerlo per ragioni di merito; oppure accoglierlo, mandando la questione alla Corte costituzionale, come chiesto da Onida. Se sarà scelta questa terza via, però, la Consulta avrà bisogno di tempo per affrontare la questione e comunque non potrà nel frattempo sospendere il referendum. “Dovrà procedere con l’iter normale con cui affronta le questioni che le sono sottoposte”, sostiene Pace. “Non ci sono strumenti per bloccare il voto. Anche nel caso, improbabile, che il tribunale accolga il ricorso e lo mandi alla Consulta, poi il giudizio della Corte costituzionale potrà arrivare soltanto tra un anno o un anno e mezzo. Nel frattempo avremo già votato”.

A questo punto, potrebbe essere eventualmente il governo a sospendere la consultazione referendaria, per dare alla Corte la possibilità di decidere. La sospensione avverrebbe per effetto di una decisione politica. Ma sarebbe necessaria una apposita legge (che difficilmente passerebbe in Parlamento). Insomma, un gomitolo aggrovigliato di sottili ragioni giuridiche e più concreti interessi politici potrebbe infine veder prevalere le ragioni politiche, che potrebbero diventare determinanti: se è difficile o addirittura impossibile la sospensione del referendum per motivi giuridici, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, il suo governo e il fronte del sì potrebbero però tentare di cogliere l’occasione per rimandare un voto annunciato come una loro possibile sconfitta.

C’è un secondo ricorso, quello presentato al Tar del Lazio. Il tribunale amministrativo è stato investito della questione se sia legittima l’indizione del referendum, stante appunto la varietà delle questioni a cui rispondere con un unico sì o no. Anche in questo caso, dice Pace, “dubito che l’indizione di un referendum sia un atto amministrativo impugnabile. Più facile considerarla un legittimo atto di governo, non impugnabile davanti a un tribunale amministrativo. In ogni caso, la decisione del Tar dovrebbe poi passare al vaglio del Consiglio di Stato, con tempi lunghi”. È dunque davvero improbabile che, a un mese dal referendum, si possa bloccare il voto con una sentenza. Lo conferma anche Violante, che scarta pure la sospensione causa terremoto: “L’ipotesi del rinvio è stata caricata di tanti aspetti strumentali che alla fine la cosa migliore è votare”.

Il Fatto quotidiano, 4 novembre 2016. Versione aggiornata
To Top