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Università, se Renzi nomina anche i professori

Università, se Renzi nomina anche i professori

Troppi baroni nelle università italiane? Troppi professori scelti non per merito? Troppe cattedre create su misura? Affidate a figli, parenti, amanti? È pronta la soluzione contro le parentopoli, i nepotismi, le baronie e finanche la fuga dei cervelli: nonostante la rivolta crescente del mondo universitario, il presidente del Consiglio Matteo Renzi sta per varare le “Cattedre Natta”, così chiamate in onore del premio Nobel per la chimica Giulio Natta. Cinquecento docenti universitari saranno messi in cattedra per chiamata diretta, senza concorso.

Chi sceglierà i magnifici Cinquecento? Stando a quanto circolato negli ambienti accademici in subbuglio e poi filtrato da Palazzo Chigi, il decreto governativo (Dpcm) che istituirà le Natta prevede che sia il premier in persona a nominare direttamente i 25 presidenti delle commissioni (saranno docenti stranieri), che a cascata valuteranno i 500 aspiranti superprof. Se così sarà, l’università sarà occupata da uno squadrone di docenti di nomina governativa. Basta gufi e professoroni, arrivano i prof renziani. Per Francesca Puglisi, responsabile Scuola del Pd e componente della segreteria Renzi, “il decreto Natta sarà una sperimentazione per la selezione dei docenti universitari. Potrebbe rivelarsi un procedimento da estendere poi a tutti i docenti universitari, non solo alle supercattedre”.

Insomma: poiché i concorsi non salvano l’università italiana dalle baronie e dalle parentopoli, si passa direttamente alle nomine governative. È il sito specializzato Roars.it (Return on academic research) a ricordare però che in passato le chiamate dirette hanno creato proprio i problemi che secondo il governo dovrebbero risolvere: arrivo in cattedra di figli di politici e di baroni, oltre a chiamate di presunti prestigiosi docenti da università straniere, dove però studiavano e non insegnavano.

Il professor Mauro Moretti, docente di Storia contemporanea a Siena, su Roars ricorda che se Renzi deciderà di riservare a sé le nomine dei presidenti di commissione, seguirà le orme di un suo predecessore al vertice del governo: Benito Mussolini. Era il 1935 quando firmò un regio decreto che dava al governo (nella simbolica figura del ministro dell’Istruzione) il potere di nominare le commissioni che dovevano scegliere i docenti, riservandosi in più la facoltà di annullare il concorso, se le commissioni nominate avessero prodotto risultati sgraditi al regime.

Poi, nell’aprile del 1945, finito il fascismo, in Italia si è tornati alla composizione elettiva delle commissioni universitarie. Ora la riforma Gelmini ha introdotto criteri ritenuti più oggettivi per la valutazione dei professori da mettere in cattedra. Denunce di baronie e parentopoli non sembrano diminuite. La soluzione sarà la nomina governativa? “Oggi siamo a un sorteggio condizionato”, sostiene il professor Moretti, “che è un rimedio della disperazione, ma che appare comunque preferibile alle commissioni governative”. Del resto, “mi parrebbe difficile immaginare il capo dell’esecutivo di un grande Paese occidentale intento a designare presidenti di commissioni di concorso”. A quanto pare in Italia andrà così.

Da giorni, nel mondo accademico (ma anche nella Cgil) si moltiplicano gli appelli al governo per un passo indietro: l’intero sistema verrà di fatto commissariato dall’esecutivo. La chiamata straordinaria è finalizzata al reclutamento di “studiosi di elevato e riconosciuto merito scientifico” con stipendio maggiorato del 30% rispetto ai colleghi (vengono stanziati 38 milioni nel 2016 e 75 dal 2017). La norma è stata inserita nell’ultima legge di stabilità: è aperta a tutti i ricercatori (stranieri compresi) e anche agli aspiranti prof già nelle università, che dovranno però cambiare sede, una procedura alternativa all’Abilitazione scientifica nazionale (Asn).

Il Dpcm doveva essere varato entro marzo scorso. Palazzo Chigi ha fatto sapere al Corriere della sera che è stato trasmesso al Consiglio di Stato, dove però non risulta arrivato. Il quadro è comunque desolante. Le commissioni saranno formate da soli altri due commissari, scelti (magari dai presidenti) tra elenchi proposti dagli atenei: significa che il presidente – nominato dal governo – avrà un peso determinante. Un peso che nell’Asn è stato limitato prevedendo commissioni composte da cinque membri. Una prima versione del testo prevedeva addirittura che anche la nomina degli altri due commissari fosse decisa da Palazzo Chigi.

La norma modifica la legge 230 del 2005 (governo Berlusconi) per le chiamate dirette, creando una corsia a parte per le “cattedre Natta”: la scelta dei superprof dovrà passare al vaglio del solo ministro dell’Istruzione, come avviene ora per le chiamate dirette dei vincitori dei prestigiosi bandi milionari dell’European research council, ma qui basterà il generico criterio di “studiosi di elevato e riconosciuto merito scientifico”. I maligni già puntano l’occhio sui settori di “diritto costituzionale” o “diritto del lavoro”.

Il capo del governo entra insomma a gamba tesa nel sistema universitario, dove per di più sono investiti pochi spiccioli. A causa dei tagli, dal 2008 a oggi l’università italiana ha perso il 20% dei finanziamenti (-1 miliardo) e oltre 12 mila tra docenti e ricercatori (-20%). Peggio ancora è andata alla ricerca di base. Ma niente paura: ora arrivano i superprof.

di Gianni Barbacetto e Carlo Di Foggia, il Fatto quotidiano, 12 ottobre 2016
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