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Torino, la rivoluzione gentile di Chiara Appendino

Torino, la rivoluzione gentile di Chiara Appendino Torino, insediamento del nuovo sindaco Chiara Appendino

Chi temeva che i cosacchi a Cinquestelle arrivassero ad abbeverare i cavalli nel Po si è tranquillizzato. E chi invece sperava che la rivoluzione grillina cambiasse faccia a Torino in tre giorni è rimasto deluso. Dopo la vittoria di Chiara Appendino, la città è andata avanti come prima, dice il filosofo Gianni Vattimo (che l’ha votata): con l’amministrazione che funziona – e funziona abbastanza bene. La sindaca è una figlia della ben educata borghesia torinese che non la vede certo come un corpo estraneo. Quanto al popolo delle periferie, l’ha votata in massa e ora aspetta che qualcosa migliori. “Ci vuole tempo”, dicono a Palazzo di Città. Ma già una cosa è cambiata: si è riaperta la comunicazione tra Palazzo e Città. La sindaca ha cominciato un tour dei quartieri dove si presenta e, senza rete, ascolta i cittadini e risponde alle loro domande. Ogni sabato, poi, porte aperte in municipio ai torinesi che hanno qualcosa da dire o da chiedere. Gli assessori hanno a turno una mattinata in cui ricevono i cittadini.

Aria nuova, rispetto allo stile arcigno e distante di Piero Fassino, che aveva da tempo interrotto il dialogo con la città. Appendino ha uno staff ridotto al minimo e non bisogna fare mille passaggi per accedere alle stanze del potere (a meno di essere giornalisti: allora tutto diventa più complicato). Potere? Grane, più che altro, problemi da risolvere. A partire dal buco di bilancio. Torino è la città più indebitata d’Italia (dopo Roma), con 5 miliardi di debito. È il lascito delle Olimpiadi del 2006: a Virginia Raggi fischiano le orecchie? Il confronto Appendino-Raggi, per il resto, è improponibile: Torino ha un’amministrazione che funziona, Roma è una città molto più grande e complicata che deve ricominciare quasi tutto da capo.

La squadra degli assessori, a Torino è stata scelta rapidamente (con il sistema del confronto pubblico dei curricola) e si è messa subito al lavoro. Sul debito, però, anche Torino non scherza. A fare l’assessore al bilancio è arrivato Sergio Rolando, vecchio dirigente della Regione Piemonte che ha lavorato con presidenti di destra e di sinistra, Mercedes Bresso (Pd) e Roberto Cota (Lega) e infine Sergio Chiamparino (Pd ma eretico). Ora è alle prese con i “disallineamenti contabili”: nei bilanci del Comune ci sono entrate per operazioni urbanistiche non ancora fatte; e ci sono entrate dalle aziende partecipate che non corrispondono alle uscite scritte nei bilanci delle partecipate. I conti non tornano, soprattutto con Amiat (rifiuti) e Infrato (infrastrutture). Sono stati fatti dei trucchi contabili? Fassino ha lasciato bilanci non veritieri? Per ora è al lavoro un gruppo interno all’amministrazione che sta verificando i conti. Alla fine della verifica, la sindaca deciderà se è il caso di ricorrere a un audit esterno. Intanto, il Pd torinese è con il fiato sospeso.

Che cosa è stato fatto, o almeno avviato, nei primi cento giorni? L’attenzione alle periferie: Torino ha partecipato al bando nazionale del governo che mette in palio 500 milioni. Ne ha chiesti 18 con il programma di non spenderli in un solo intervento o in pochi interventi di lungo termine, ma di realizzare immediatamente manutenzioni diffuse in tutta la città. Lo stratega degli interventi urbanistici è Guido Montanari, professore di architettura, animatore di movimenti civici, ora diventato vicesindaco, oltre che assessore all’urbanistica. “Torino aveva 10 milioni di metri quadri di aree da riqualificare, nella sua trasformazione da città industriale a città post-industriale. Ne ha già utilizzati 6 milioni e lo ha fatto male, con interventi mal disegnati e mal infrastrutturati. Da città sabauda ha cercato di diventare città degli eventi, ma dimenticando la sua storia e la sua identità operaia. Pensi che a inizio Novecento, con la nascita di Aem, l’azienda elettrica municipale, Torino offriva energia al costo più basso d’Italia e con i ricavi ha realizzato l’illuminazione pubblica, la rete tramviaria e le scuole operaie. Così ha posto le condizioni per lo sviluppo industriale della città. Oggi invece abbiamo troppo intervento privato e troppo poco pubblico”.

Da oggi si cambia, promette Montanari. Basta centri commerciali: no a quelli che dovevano sorgere nel Palazzo del Lavoro e nell’area Westinghouse. Più attenzione alla piccola distribuzione. Meno densità di cemento dove si costruisce. Rivedere il tracciato della metropolitana linea 2, chiedendo più soldi al governo. No ai parcheggi in città, che attirano traffico, e sì a quelli fuori. Sì però alla Città della Salute, progetto già finanziato dalla Regione di Chiamparino, purché non significhi l’abbandono delle Molinette, che vanno invece recuperate e trasformate. Insomma: un programma molto pragmatico e poco ideologico.

I NoTav duri e puri avrebbero voluto l’uscita immediata dall’Osservatorio sulla Tav. Ma la sindaca punta ai fatti, più che ai proclami: “Potremo anche uscire”, dice ai suoi, “tanto i fondi di compensazione al Comune arriverebbero soltanto nel 2035”. Ai duri e puri non piace neppure che sia nato Chiappendino, l’asse con il Chiamparino presidente della Regione, con cui Appendino condivide il progetto Città della Salute e con cui ha firmato anche il comunicato in difesa del Salone del Libro. “Libro e lettura sono un pezzo dell’identità della città”, dice Francesca Leon, assessore alla cultura. “Dobbiamo rilanciare il Salone e insieme mettere in sicurezza le 12 biblioteche civiche. E poi far dialogare i diversi ‘silos’ culturali – musei, teatri, biblioteche, scuole – per aumentare la partecipazione dei cittadini”.

Una città da rimettere in moto dopo la dura crisi degli ultimi anni. A Torino i Cinquestelle sembrano avere un strada in discesa, rispetto a Roma. Ma sanno che i torinesi sono esigenti e tra cinque anni vorranno vedere risultati concreti.

Il Fatto quotidiano, 2 ottobre 2016
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