Vita e miracoli di Giovanni Canzio, il prorogato
Il Consiglio dei ministri il 30 agosto 2016 ha approvato il decreto legge che proroga di un anno l’età pensionabile agli alti vertici di Cassazione, Corte dei conti, Consiglio di Stato e Avvocatura dello Stato (e non a tutti gli altri magistrati sulla soglia dei 72 anni). È la terza proroga in tre anni, in deroga alla norma che manda in pensione i magistrati a 70 anni.
Grazie alla “proroga Canzio”, potrà continuare a fare il primo presidente della Cassazione. Giovanni Canzio, salernitano, classe 1945, è stato presidente della Corte d’appello dell’Aquila e poi, dal 2011, di quella di Milano. Prima, dal 1995 al 2009, da giudice in Cassazione, fu relatore al processo in cui Giulio Andreotti era accusato dell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli: la sentenza d’appello, di condanna, fu annullata senza rinvio. Relatore anche al processo contro Calogero Mannino: anche in questo caso la condanna in appello per concorso esterno in associazione mafiosa fu annullata, ma con rinvio a un nuovo processo che assolse definitivamente il politico siciliano. Fece parte anche del collegio che annullò, senza rinvio, la sentenza contro Corrado Carnevale, ribaltando la sentenza d’appello che lo aveva condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e mandando definitivamente assolto il giudice che allora i giornali chiamavano “ammazzasentenze”.
Da presidente della Corte d’appello di Milano, è rimasto memorabile il suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2015, in cui, in maniera inedita, criticò le scelte processuali di un altro ufficio giudiziario, quello di Palermo, che si era permesso di chiedere l’audizione del presidente Giorgio Napolitano nel processo sulla trattativa Stato-mafia: “È mia ferma e personale opinione che questa dura prova si poteva risparmiare al capo dello Stato, alla magistratura stessa e alla Repubblica italiana”.
Negli ultimi mesi della sua permanenza a Milano, il suo ufficio è stato coinvolto in un’indagine – ancora in corso – che riguarda il suo caposcorta: dal telefono in uso al carabiniere che per anni gli ha fatto da assistente risulta partita una telefonata di minacce ricevuta da una giornalista del Corriere della sera che stava indagando sulle aste giudiziarie del Tribunale di Milano.
Nel 2012, il caso Mills. Canzio riceve due lettere dall’allora procuratore generale di Milano, Manlio Minale, sul processo Mills a Silvio Berlusconi, accusato di aver corrotto con 600 mila dollari il teste David Mills per non fargli dire la verità in aula. Il procedimento è troncato dalla prescrizione il 15 febbraio 2012. Minale chiede al presidente della Corte d’appello di esercitare i suoi “poteri di sorveglianza” per capire come mai il processo sia inesorabilmente scivolato verso la prescrizione. Segnala a Canzio l’“inadeguatezza del calendario” delle udienze, troppo distanti l’una dall’altra (solo sei udienze nei primi sei mesi!) e la “ingiustificata disattenzione” agli allarmi lanciati dal pm Fabio De Pasquale. Esprime “disagio” per il fatto che la prima sezione della Corte d’appello avesse respinto la ricusazione, chiesta da Berlusconi il 27 gennaio, solo il 23 febbraio. E sottopone a Canzio alcuni passaggi della sentenza Mills, firmata dalla sola presidente del collegio, Francesca Vitale, che l’aveva depositata senza avvertire le due colleghe (Antonella Lai e Caterina Interlandi): nella sentenza, Vitale addirittura si lamenta delle “inopportune e reiterate sollecitazioni del pm sul calendario” e dà la colpa della prescrizione alla “lunghezza delle indagini” (invece concluse in 18 mesi).
Canzio risponde a Minale di non ritenere opportuno adottare alcuna iniziativa, poiché le questioni aperte si sarebbero potute esaminare nel processo d’appello. Peccato che la prescrizione non abbia poi reso possibile alcun processo d’appello. Vitale è stata infine sottoposta a un procedimento disciplinare del Csm, da cui è stata prosciolta.