È morta la più italiana delle banche svizzere
È morta una banca, e quasi non ce ne siamo accorti. È stata congelata con un decreto delle autorità svizzere. E attenzione: non si tratta di una delle malmesse banche italiane, ma di un antico e solido istituto di credito elvetico. È la Bsi, la Banca della Svizzera italiana. Nata 143 anni fa, nel 1873, è la banca più vecchia del Canton Ticino ed è stata chiusa d’autorità il 23 maggio 2016: la Finma, l’autorità federale elvetica che vigila sui mercati finanziari, ha ordinato la fusione di Bsi con il gruppo Efg di Zurigo, che l’aveva acquistata, e lo scioglimento entro dodici mesi. Tranne un improbabile ribaltamento della decisione dopo il ricorso al Tribunale amministrativo federale, la Banca della Svizzera italiana scomparirà del tutto entro il 2017.
Che cosa è successo nella più italiana delle banche svizzere? Bsi ha molta clientela italiana, sede a Lugano e filiali a Milano e Como. Suoi punti di forza sono però le filiali in Lussemburgo, a Montecarlo, Malta, Montevideo, Panama, Nassau, Bahrain, Hong Kong. E Singapore. Dal 1998 è controllata dalle Generali di Trieste. È di fatto una banca svizzera controllata dal grande gruppo assicurativo italiano. Nel 2005 decide di aprire la filiale di Singapore, che dopo il crollo finanziario del 2007 diventa cruciale per lo sviluppo dell’istituto sui ricchi mercati asiatici, non toccati dalla crisi.
Nel 2011 la Bsi delle Generali cresce assorbendo la grande filiale di Singapore di Coutts, la “banca della regina d’Inghilterra”: Singapore diventa così sempre più importante dentro Bsi e sempre più forte diventa l’uomo d’oro di Bsi-Singapore, Yak Yew Chee, il banchiere d’origine cinese proveniente da Coutts che, secondo il Financial Times, dal 2011 al 2016 ha intascato premi per quasi 20 milioni di franchi svizzeri. Fa affari d’oro, Yak Yew Chee. Peccato che la sua gestione della filiale di Singapore sia segnata da gravi irregolarità e scorrettezze.
Queste emergono in tutta la loro dirompente pericolosità quando esplode lo scandalo del fondo sovrano malese 1Mdb, istituito dal premier della Malesia, Najib Razak, che viene poi accusato di essersi appropriato di oltre 650 milioni di dollari del capitale di aziende pubbliche malesi, dirottati su conti offshore controllati da suoi amici e prestanome. La banca centrale di Singapore ordina a Bsi di bloccare tutte le attività della filiale di Singapore, denuncia sei alti dirigenti della banca accusandoli di riciclaggio e altri reati penali, fa aprire un’inchiesta per corruzione di funzionari pubblici e politici malesi, impone una sanzione per riciclaggio di 9,7 milioni di dollari e la confisca di 95 milioni di franchi, pari agli utili illeciti ottenuti con la gestione del fondo sovrano.
In Svizzera, cade la testa dell’amministratore delegato, Stefano Coduri, che si dimette, mentre viene aperta un’indagine penale sui comportamenti dei vertici Bsi. A Singapore, la banca sospende Yak Yew Chee. Eppure gli investigatori, che lo accusano di riciclaggio, scoprono che la Bsi gli emette un assegno al portatore da 82 mila dollari di Singapore (circa 60 mila franchi svizzeri) in data 27 gennaio 2016, quando già era stato estromesso e i suoi conti erano stati congelati. “I vertici della banca”, si difende Yak Yew Chee, “erano a conoscenza di tutte le operazioni da me svolte”.
La Banca della Svizzera italiana compare anche nei Panama Papers, per un’operazione che riguarda l’Eni. Secondo quanto scrive l’Espresso, è a una misteriosa offshore con conto Bsi che lo Stato nigeriano gira, nel maggio 2011, 1 miliardo e 92 milioni di dollari pagati dall’Eni per ottenere la concessione del megagiacimento petrolifero Opl 245. L’operazione è così sospetta che la banca la rifiuta e il flusso di tangenti – da tempo sotto inchiesta da parte della procura di Milano – prende altre strade.
Intanto, nella bufera, la proprietà di Bsi era passata di mano. Nel 2014 le Generali l’avevano venduta al gruppo bancario brasiliano Btg Pactual. Pochi mesi dopo, la Bsi era stata acquistata da Efg International, gruppo di private banking con sede a Zurigo che fa capo al miliardario greco Laktakis, il quale aveva promesso di unire Bsi e Efg per farne una delle maggiori banche private elvetiche, con 170 miliardi di franchi svizzeri gestiti. Ora è tutto sotto la spada di Damocle delle autorità svizzere che hanno ordinato la chiusura di Bsi.
In questo grande scandalo internazionale brilla l’assenza delle autorità italiane. Eppure ci sono almeno tre motivi che le chiamano in campo. La prima è che Generali, gli ex proprietari, hanno avuto il controllo della banca fino a due anni fa, quando il riciclaggio e la corruzione nella sede di Singapore si erano già messe in moto. L’hanno venduta per 1,248 miliardi di franchi svizzeri ai brasiliani, che poi se ne sono rapidamente liberati ottenendo da Efg molto meno e ora vorrebbero rivalersi su Generali, accusando la compagnia triestina di averli turlupinati. La seconda è che molti dei clienti di Bsi sono italiani e usano la banca, che ha una filiale a Nassau, Bahamas, per fuggire dalla voluntary disclosure che impone di rivelare i loro conti esteri alle autorità fiscali italiane. La terza è che Bsi ha una sede a Milano, molto attiva. Le autorità finanziarie e fiscali italiane non hanno niente da dire?