Kafka e il Metodo Sala: come ti faccio un capo di gabinetto, anzi due
È il “metodo Sala”. Sempre lo stesso, sia quando era a capo di Expo, sia ora che è sindaco di Milano. Giuseppe Sala divaga, aggiusta, dimentica. Non ricorda le sue proprietà, sistema le gare, forza le regole, plasma su misura le norme. Piccoli pasticci, niente (per ora) che abbia grave rilievo penale. Se deve farsi la villa al mare, prende l’architetto di Expo. Se deve assegnare incarichi, li fraziona in piccole parti per aggirare le soglie di legge. Se deve dare un appalto, invece di fare una gara pubblica telefona direttamente a Oscar Farinetti, l’amico di Matteo Renzi.
Adesso, da sindaco, se deve scegliere il più importante dei suoi assessori, quello al bilancio, incarica il suo socio in affari. E se deve nominare il capo di gabinetto, figura chiave dell’amministrazione, combina l’ennesimo pasticcetto. Chiama al volo Mario Vanni, 33 anni, avvocato milanese, già dirigente dell’Autorità per l’energia. La poltrona che Sala gli ha dato è un premio per il lavoro fatto in campagna elettorale: Vanni, tesoriere del Pd milanese, è stato il coordinatore della comunicazione e delle attività di promozione politica, ruolo determinante per la vittoria del manager-candidato. Fama di ottimo professionista e di appassionato motociclista, ora Vanni dovrà essere il coordinatore dell’ufficio del sindaco e la sua interfaccia con gli assessorati e l’amministrazione. Curerà la partita delicatissima delle nomine comunali nei diversi enti e della gestione dei contributi da assegnare a enti e associazioni. Dovrà inoltre promuovere l’immagine del sindaco e facilitare il rapporto tra i cittadini e il Comune.
Ebbene: cominciamo male. Perché Sala lo ha chiamato con nomina diretta, senza gara, con il risultato che Vanni ha lo stipendio da dirigente (attorno ai 130-140 mila euro l’anno), ma senza essere un dirigente. All’Authority per l’energia era responsabile di unità, inquadrato come funzionario. Non avendo in curriculum cinque anni di dirigenza, non può dunque firmare gli atti da capo di gabinetto del sindaco, che per ora sono firmati dal suo predecessore, Maurizio Baruffi, che ha lavorato con Giuliano Pisapia. Insomma, un pasticcio. Un paradosso kafkiano. Il “metodo Sala” all’opera. Lo ha rilevato, nella prima seduta del Consiglio comunale, Basilio Rizzo, candidato sindaco per “Milano in Comune”, che ha chiesto come mai ora “si debba istituire un ‘dirigente del gabinetto del sindaco’ che abbia il potere di firma che il capo di gabinetto in carica non può avere”.
Sì, perché intanto, il 7 luglio, Sala ha pubblicato il bando per un “direttore di gabinetto del sindaco”. Le domande devono essere presentate entro il 18 luglio, cioè lunedì prossimo. Vanni è intenzionato a partecipare: se vincerà la gara, sarà contemporaneamente ‘dirigente di gabinetto’ e ‘capo di gabinetto’ e, con gran gioia di Kafka, potrà far firmare alla metà di se stesso quello che l’altra metà non può firmare. Ma – se la gara non è combinata – potrebbe partecipare, e perfino vincere, qualcun altro. Un signor K qualsiasi. Come si farà allora?
Tutta colpa delle legge Madia, spiegano i tecnici: prima il sindaco poteva scegliere liberamente il suo capo di gabinetto; ora deve fare un bando pubblico e il candidato deve avere requisiti come i cinque anni da dirigente in organismi pubblici o privati, oppure deve avere particolari specializzazioni post-universitarie. Vanni sostiene di avere queste ultime. Ma Sala, che vuole correre e non ama i lacci e lacciuoli delle regole, ha subito incoronato Vanni, poi ha lanciato la gara. Vedremo ora che cosa succederà lunedì: se Vanni vincerà o se avremo due capi di gabinetto, uno politico e uno amministrativo (con due adeguati stipendi).