Como e Lodi, le regole e i reati “in buona fede”
Aggiustare, aggirare, sistemare. L’importante è raggiungere l’obiettivo. Non importano le regole. In fondo, è la lezione di Expo. Se il signore di Expo lo vogliono fare sindaco, si dia subito un premio anche ai sindaci di Como e di Lodi.
Le regole sono regole. Non possono essere tirate come un elastico, in nome del raggiungimento di un buon obiettivo. Invece alcuni amministratori finiti nei guai giudiziari sembrano dire: certo, abbiamo infranto le leggi, ma a fin di bene. Amministrare le città è difficile, le norme sono troppe e troppo stringenti, così capita di doverle infrangere, ma per il bene dei cittadini. È quello che sta succedendo a Como, è quello che è già successo a Lodi. A Como il sindaco e l’amministrazione di centrosinistra si sono trovati a governare la città ereditando una grana grossa, complicata e apparentemente irrisolvibile: la costruzione delle paratie sul lungolago.
Un piccolo Mose a cui il centrosinistra si era opposto, che però era stato avviato dalla precendente amministrazione di centrodestra e che all’arrivo in municipio i nuovi avevano trovato già iniziato. Invece di bloccare tutto e dire: questa cosa è un buco nero, un’eredità avvelenata che non possiamo e non vogliamo gestire, il nuovo sindaco se l’era caricata sulle spalle. Da una parte i cittadini che, giustamente, volevano il loro lago, senza l’assurdo muro alto fino a due metri che ne impediva la vista. Dall’altro l’azienda che aveva il ricco appalto, la Saicam, che naturalmente non voleva mollare l’osso. Che fanno, i nuovi arrivati al governo della città? Cercano di aggiustare le cose, di correggere il progetto (assurdo) mantenendo la continuità con l’azienda già al lavoro, per non perdere i soldi già spesi.
A Lodi, il sindaco del Pd recentemente arrestato aveva fatto qualcosa di simile. Per remunerare un’azienda che doveva costruire e gestire una piscina in perdita, le aveva fatto assegnare la gestione di un’altra piscina da cui si guadagna bene. Si chiama turbativa d’asta. E la turbativa d’asta non è mai a fin di bene, perché anche quando non arricchisce il sindaco e gli amministratori, come fanno le vecchie, care tangenti, fa una cosa perfino peggiore: trucca le regole della concorrenza, avvelena la libera impresa, uccide il libero mercato.
Così a Como. Il sindaco vuole risolvere il problema del muro sul lungolago, mentre 80 mila cittadini firmano cartoline di protesta, dopo uno scempio che dura da otto anni. Le regole? Le gare? Fastidi da aggirare, come fosse un commissario Expo qualsiasi. Si prende, come “risolvitore di problemi”, un Wolf di nome Pietro Gilardoni, che indossa la casacca dell’interesse pubblico con ancora sotto quella della Saicam, da cui aveva incassato 100 mila euro come consulente. “A fin di bene”, per non buttare i soldi pubblici già spesi, bisogna tenere dentro la Saicam a ogni costo. Intanto la spesa lievita da 12 a 32 milioni di euro. E delle regole chissene frega. Si “aggiusta” un bando per una perizia, frazionando l’affidamento per darlo a cinque professionisti vicini al Comune.
Poi, già che si è in pista, si trucca anche un’altra gara per favorire l’imprenditore Giovanni Foti. “Faccio quel c… che voglio, del bando me ne sbatto”, sibila, intercettato, il Gilardoni. Sa bene quel che sta facendo, tanto che dice all’imprenditore: “Mi raccomando: questa è turbativa d’asta”. Interviene l’Anac di San Raffaele Cantone, gran parafulmine di tutti gli amministratori e manager pubblici della Repubblica: a dire che se cambiate radicalmente il progetto, la gara va rifatta. Niente di particolarmente difficile da capire. Ma “l’Anac non è la Bibbia”, dice il sindaco triste della città. Aggiustare, aggirare, sistemare. L’importante è raggiungere l’obiettivo. Non importano le regole. In fondo, è la lezione di Expo. Se il signore di Expo lo vogliono fare sindaco, si dia subito un premio anche ai sindaci di Como e di Lodi.