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Elisir di lunga vita a Expo, la risposta ai 200 scienziati contro il “Fatto”

Elisir di lunga vita a Expo, la risposta ai 200 scienziati contro il “Fatto”

Siamo alla vigilia di una grande operazione che incrocia politica e scienza: l’avvio, sull’area Expo, di Human Technopole (Ht), polo di ricerca lanciato dal governo – senza confrontare tra loro proposte diverse – con la promessa di 1,5 miliardi – concessi senza garanzie di trasparenza e meritocrazia. Uno degli ideatori di questa operazione è il professor Pier Giuseppe Pelicci. È dunque giornalisticamente interessante, proprio alla vigilia di Ht, raccontare la vicenda del P66, che è l’anello che lega Pelicci a Human Technopol, presentato oggi all’opinione pubblica come il luogo dove potrà nascere “l’elisir di lunga vita”: “L’uomo di domani, quasi immortale, nascerà negli ex padiglioni di Expo. Ecco come 1.600 scienziati lo culleranno, tra mappature genetiche e cibi anti-malanni” (Sette, Corriere della sera, gennaio 2016).

Il Fatto Quotidiano, l’8 maggio, ha raccontato Pelicci e la strana storia del P66, che forse gli scienziati conoscono bene, ma l’opinione pubblica no. Nel 1999 Pelicci annuncia che inibire il gene P66 significa allungare le vita del 30 per cento agli animali di laboratorio, e forse anche all’uomo. Dodici anni dopo si corregge, perché ulteriori esperimenti hanno invalidato il suo primo annuncio. Tutto a posto dal punto di vista del metodo scientifico, ci garantiscono autorevolmente 200 scienziati che hanno sottoscritto una lettera in sostegno di Pelicci e contro il Fatto. Fare ipotesi, verificarle, sbagliare e correggersi è la normalità del metodo scientifico.

Ma dal punto di vista dell’opinione pubblica, la vicenda del P66 ha prodotto, e continua a produrre, effetti. Nella finanza, nella politica. Fino a oggi. Ha creato, per esempio, una realtà finanziaria e imprenditoriale come Genextra. Lo racconta nel 2015 il suo fondatore, il finanziere Francesco Micheli: “Umberto Veronesi mi raccontò che il direttore del suo centro di ricerca, Pier Giuseppe Pelicci, aveva scoperto e comunicato al mondo attraverso la rivista scientifica Nature come, togliendo a un topo il gene P66, l’animale vivesse il 30 per cento più a lungo e in buona salute. Una prospettiva esaltante (…). Siamo partiti da questa idea, con grande entusiasmo per trovare un elisir di lunga vita che annullasse l’effetto nefasto del P66 nell’uomo, cui non è possibile toglierlo fisicamente. (…) Con Veronesi e i suoi ricercatori abbiamo poi sviluppato altre linee di ricerca, una vera pipeline di molecole, anche se il P66 è tuttora in alto mare” (Capital, marzo 2015).

Il P66 determina anche scelte politiche. Lo racconta il Corriere della Sera che nel gennaio 2016 presenta Pelicci come “lo scienziato acclamato sulla rivista Nature per aver scoperto uno dei geni dell’invecchiamento” e come il vero padre di Human Technopole: “I rumors raccontano che sia stata una sua relazione a Cernobbio, al Forum Ambrosetti, ad avere acceso una lampadina nella testa di Renzi”. Gli scienziati forse sì, ma Renzi non legge Nature. Il Fatto ha raccontato questa storia: con protagonisti che sulle riviste scientifiche ridimensionano le loro affermazioni precedenti, ma sui mass media continuano a promettere “l’elisir di lunga vita”.

“Pier Giuseppe Pelicci all’Istituto europeo di oncologia ha scoperto che abbiamo un gene, il P66, che regola la durata della vita, e che, se questo viene inibito, la vita si allunga del 20 per cento (Umberto Veronesi, Panorama, agosto 2012). “Esiste un tasto On/Off per l’esistenza?. ‘Il gene della longevità! Quello che noi genetisti stiamo cercando da almeno 25 anni’, risponde Pier Giuseppe Pelicci, che uno di questi geni lo ha davvero identificato nei mammiferi. ‘Il primo è stato l’age-1 di Friedman, che una volta spento si è dimostrato capace di prolungare del 40% la vita dei lombrichi. Poi ne sono stati scoperti un’altra ventina tra cui il nostro, il P66, che allunga l’esistenza dei mammiferi se viene inattivato. Nell’uomo le cose non sono molto diverse’”. (Marie Claire, 26 ottobre 2013).

Nessun “attacco”, dunque, del Fatto Quotidiano “a Pelicci e alla sua produzione scientifica”. Nessuna “disinformazione”. Non è “gogna mediatica” (orribile espressione di solito usata dai peggiori tra i politici quando non vogliono che siano raccontati i loro comportamenti) l’aver sottoposto l’attività di uno scienziato al controllo dell’opinione pubblica. Ad aver innescato Ht e i suoi cospicui finanziamenti non sono le ricerche sulle leucemie del professor Pelicci, ma la sua promessa di “elisir di lunga vita”. Il Fatto l’ha raccontato e nessuno l’ha smentito nel merito della vicenda P66, confermata dallo stesso Pelicci (vedi www.scienzainrete.it e vedi anche la ricostruzione di tutta la storia scientifica di P66 su www.roars.it: “L’uomo (quasi) immortale di Human Technopole: scienza o bufala?”).

Abbiamo la colpa di voler spiegare cose complesse in maniera semplice, e soprattutto di voler capire gli effetti politici della scienza. Il Fatto sa bene che difendere la scienza è difendere la democrazia. Ma per difendere la scienza e il metodo scientifico si possono e si devono discutere gli scienziati, specialmente quelli potenti che indirizzano investimenti e determinano scelte economiche e politiche.

(Ps. Piccolo giallo: nella versione messa in rete dai promotori manca una delle 200 firme. C’è qualcuno inserito a sua insaputa?)

 

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Il Fatto quotidiano, 29 maggio 2016 (versione più ampia)
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