“Ecco come nacque lo scontro politica-magistratura”
Intervista ad Alfredo Galasso/
Tutti i nodi dei conflitti che la politica apre nei confronti della magistratura arrivano, prima o poi, al Csm. Oggi fanno discutere l’intervento di Giuseppe Fanfani (“Eccessivo l’arresto per il sindaco di Lodi”) o l’intervista di Piergiorgio Morosini (“Rischio democrazia autoritaria”). Alfredo Galasso, avvocato e giurista, del Consiglio superiore della magistratura fu membro laico, indicato dal Pci, dal luglio 1981 al febbraio 1986. Si dimise un mese prima della scadenza perché aveva assunto la difesa di parte civile della famiglia Dalla Chiesa nel maxiprocesso di Palermo. Ma nei suoi cinque anni a Palazzo dei Marescialli vide nascere quello che poi sarà chiamato “scontro tra magistratura e politica”. “Poco prima del nostro insediamento, accadde una cosa mai successa prima: fu perquisito l’ufficio al Csm del vicepresidente, Ugo Zilletti, indagato nell’inchiesta sulla P2 di Giuliano Turone e Gherardo Colombo”.
Un inizio pirotecnico, dentro il Csm, di un “conflitto” che continua fino a oggi.
Dopo quell’inizio, furono i leader di Dc e Psi ad attaccate i magistrati che a Milano indagavano sulla P2 e sui banchieri Michele Sindona e Roberto Calvi. Bettino Craxi intervenne difendendo Calvi. Il presidente della Repubblica Sandro Pertini, presidente anche del Csm, propose allora al Consiglio un documento che diceva: “La libertà di critica non può essere confusa con la denigrazione, l’insinuazione e la calunnia. Gettare discredito sull’ordine giudiziario nel suo insieme significa minare dei pilastri del nostro ordinamento democratico. L’imparzialità, l’indipendenza e l’autonomia dei giudici sono valori che devono essere difesi con fermezza”. Fu approvato all’unanimità.
L’anno dopo, il 1982, scoppiò il caso Dozier.
Pietro Longo, segretario del Psdi, definì “un’indegnità e un’infamia” l’arresto, chiesto dai magistrati di Padova, degli agenti dei Nocs che avevano liberato il generale Dozier sequestrato dalle Br: erano accusati di torture ai danni dei brigatisti. Intervenne di nuovo Pertini che al Csm disse che l’azione dei giudici era stata un “supremo atto di giustizia”.
Poi fu ancora Craxi a intervenire, dopo lo scandalo Zampini esploso a Torino.
Sì, propose che i pm fossero messi alle dipendenze del governo. Nel 1984 fu la volta di Giulio Andreotti, coinvolto nelle indagini sulla nomina del generale Raffaele Giudice, piduista e imputato per lo scandalo dei petroli: “I giudici fanno della toga uno strumento di lotta politicizzata”, disse Andreotti. Una tesi poi più volte ripetuta, fino ai giorni nostri.
Dura fu la stagione degli attacchi alle toghe sferrati da Francesco Cossiga.
Nel 1985 a Cossiga rispose, con un’intervista sull’Unità, l’allora parlamentare del Pci Augusto Barbera, che denunciò uno “spirito corporativo della magistratura”, ammettendo però che questo era conseguenza di una “disfunzione del potere politico e amministrativo”.
Il Csm di cui lei fece parte – e che la vide vicepresidente della sezione disciplinare – non fu per niente tenero con i magistrati.
Per la prima volta fu rimosso dalla magistratura un giudice, perché aveva raccomandato un mafioso al consigliere istruttore di Palermo Rocco Chinnici. Furono condannati, tranne uno, i magistrati presenti negli elenchi della loggia P2 di Licio Gelli. Scrivemmo che il Csm è “presidio dell’esercizio corretto e indipendente della giurisdizione”.
Che cos’è cambiato oggi?
Il conflitto tra magistratura e politica si riproduce periodicamente da oltre un trentennio, quali che siano di volta in volta i soggetti coinvolti dell’una e dell’altra parte. Prima, fino agli anni Settanta, le toghe erano, salvo eccezioni (i cosiddetti “pretori d’assalto” o chi indagava sulle stragi), omologhe al potere costituito. Pensi che quando Falcone fu assegnato all’ufficio istruzione di Palermo, il presidente della Corte d’appello suggerì al capo, Chinnici, di destinarlo alle indagini sugli assegni scoperti. Con gli anni Ottanta, la magistratura acquisisce gradualmente, soprattutto a Milano e Palermo, la coscienza della propria indipendenza e autonomia e si muove in ogni direzione. È questa la causa di un “conflitto” per cui non c’è rimedio.
Niente cure possibili?
Deve essere la politica a guardare dentro se stessa e a esercitare una verifica e una selezione scrupolosa. Anche la magistratura, però, deve guardare dentro se stessa e sanzionare chi non esercita correttamente la propria funzione. Per esperienza so che le indagini possono essere celeri e approfondite al tempo stesso. Non in tutti i grandi uffici giudiziari lo sono.