“Cammellaggio” o razzismo?
Non è difficile capire che non tutte le forme di “partecipazione” sono belle espressioni di democrazia. Era democrazia il voto dei sottoproletari napoletani che votavano Lauro in cambio di un chilo di pasta? È democrazia il voto dei calabresi dell’hinterland milanese per il politico amico del boss della ’ndrangheta? È democrazia il voto di gruppi di cittadini cinesi organizzati da capibastone che li portano a votare Sala senza sapere neppure che cosa stanno facendo?
No, i voti a pacchetto trattati con i capibastone non sono democrazia, ma una malattia della democrazia. Democrazia è partecipazione consapevole, non obbedienza al boss. E non è razzismo dirlo chiaro. Non è razzismo “anticalabrese” dire che gruppi di cittadini calabresi sono scippati della loro possibilità di scegliere, quando seguono le indicazioni del boss. Non è razzismo “anticinese” dire che cittadini che avrebbero diritto di capire, partecipare e scegliere sono invece strumentalizzati e indirizzati a senso unico per senso di obbedienza al loro capetto.
È stato fatto perfino il paragone con i braccianti del sud che negli anni Cinquanta votavano Pci senza sapere bene l’italiano. Ma siamo matti? Forse parlavano in dialetto, ma avevano ben chiaro il senso di appartenenza a un movimento di lotta, sapevano bene a chi davano la loro fiducia. Allora si chiamava “coscienza di classe”. Che cosa c’entra quella consapevolezza con la mortificazione della democrazia e della partecipazione di poveri cittadini inconsapevoli portati ai seggi per obbligo nei confronti del loro boss, che li usa per rafforzare il suo potere di trattativa con il politico a cui ha promesso pacchetti di voti?
(Ps: C’è anche una pronta controrisposta: ma sono pochi, non influiscono sul risultato. Capite l’assurdità? Non dicono: non è vero. Dicono: sono pochi. Come se uno accusato di rubare si difendesse non dicendo: non ho rubato; ma: ho rubato poco. Stiamo tornando agli anni Ottanta, alla cultura politica della Milano da bere. Ne vedremo delle belle).