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A giudizio Diana Bracco, tutta Expo e medicine

A giudizio Diana Bracco, tutta Expo e medicine

Dovrà andare a processo, Diana Bracco. È una donna potente, a Milano, vicepresidente di Confindustria e presidente di Expo spa, nonché commissario generale del Padiglione Italia, l’unico che resta in piedi anche dopo la fine dell’esposizione universale. Ma ora è stata rinviata a giudizio in qualità di presidente dell’azienda di famiglia, la farmaceutica Bracco spa. Le accuse della procura di Milano sono di evasione fiscale e appropriazione indebita, mosse dal pm Giordano Baggio e accettate dal gup Alessandro Santangelo, il quale ha disposto il processo che prenderà il via il 16 marzo.

Secondo l’accusa, Bracco avrebbe commesso una frode fiscale da oltre 1 milione di euro e un’appropriazione indebita da 3,6 milioni. Come? Abbattendo l’imponibile della sua azienda farmaceutica con la presentazione di fatture per spese personali – la ristrutturazione di barche e di case in celebri località turistiche – fatte però pagare alla società. Fatture per 3,6 milioni di euro sono state infatti emesse da due architetti, Marco Pollastri e Simona Calcinaghi, titolari dello studio di progettazione Archilabo di Monza, per lavori di ristrutturazione di yacht e di cinque immobili di proprietà di Diana Bracco: a Merate, in provincia di Lecco; a Nizza Monferrato, nell’Astigiano; a Megeve, in Alta Savoia; ad Anacapri, sull’isola di Capri; e a Vence, in Provenza. Le proprietà erano personali, ma a pagare era l’azienda, che però poteva poi detrarre le spese dall’imponibile dichiarato al fisco. Con un doppio vantaggio, dunque, per la presidente.

È stato il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Milano a documentare che nella contabilità aziendale del gruppo farmaceutico erano state infilate fatture milionarie per lavori eseguiti in proprietà personali della presidente. Così a marzo 2015 le era stato posto sotto sequestro preventivo un tesoretto di 1 milione e 42 mila euro, cioè, secondo i magistrati, la somma frodata al fisco. In seguito Bracco ha pagato quello che l’Agenzia delle entrate le chiedeva e ha sanato il contenzioso con l’erario, tanto che il gup ha disposto il dissequestro del tesoretto. “Andremo a dibattimento e ci difenderemo”, reagisce il difensore Giuseppe Bana, “perché questa è una questione solo fiscale che non ha rilevanza penale. Non ci sono reati e la mia assistita ha già ampiamente risolto il contenzioso con l’Agenzia delle entrate”.

Non la pensa così il gip, che ha invece ritenuto che la vicenda delle fatture per spese personali scaricate nella contabilità dell’azienda debba essere vagliata in dibattimento. Anche gli architetti Pollastri e Calcinaghi, difesi dall’avvocato Armando Simbari, sono stati rinviati a giudizio, mentre il presidente della Bracco Real Estate srl, Pietro Mascherpa, è uscito dalla vicenda patteggiando davanti al gup una condanna a 6 mesi di reclusione, convertita in una multa di 45 mila euro.

Se saranno provate le accuse, sarà dimostrato che Diana Bracco non capisce bene i confini tra soldi suoi e denaro dell’azienda. Qualche confusione tra attività personali e ruolo pubblico l’ha fatta anche come presidente di Expo. Grande sostenitrice dell’evento, ha presidiato l’affare fin dal 2008, quando l’ex sindaco Letizia Moratti lanciò la candidatura di Milano per l’esposizione universale 2015. Qualcuno, già allora, fece notare che l’Expo realizzato ai confini tra Milano e Rho avrebbe guarda caso valorizzato un’area contigua di 7 mila metri quadrati, di proprietà proprio della Bracco Farmaceutica. Ma il possibile conflitto d’interessi passò quasi inosservato.

In Expo scattò anche un altro cortocircuito: Lamberto Vallarino Gancia, che è stato uno dei collaboratori più stretti di Diana Bracco al Padiglione Italia, è anche l’amministratore della sua azienda vinicola, “La Cantina Ideale”. Come commissario della parte italiana dell’esposizione, Bracco ha poi difeso fino all’ultimo Antonio Acerbo, subcommissario Expo e responsabile del Padiglione Italia. Nell’ottobre 2014 Acerbo è stato arrestato, per corruzione e turbativa d’asta. A quel punto, Bracco ha mantenuto la carica di commissario generale di Palazzo Italia, ma è stata di fatto commissariata dall’amministratore delegato di Expo, Giuseppe Sala. Ha potuto continuare a occuparsi dei “contenuti”, ma la “polpa” – la costruzione, le gare, i cantieri – è passata sotto il diretto controllo di Sala, che ha chiesto il sostegno tecnico di Mm e Italferr e la supervisione del presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone.

La parte italiana dell’esposizione guidata da Bracco è stata anche quella finita con più ritardo. Era composta dal Palazzo Italia e da altre cinque strutture, tutte affacciate sul “cardo”, tra cui i padiglioni delle regioni e quello dell’Unione europea, uno degli ultimi a essere completato. Anche l’“Albero della vita” faceva parte del feudo Bracco: è stato terminato dopo infinite polemiche e ripetuti interventi di Cantone.

Nella foto: Giuseppe Sala, Diana Bracco, Antonio Acerbo

Il Fatto quotidiano, 15 gennaio 2016
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