EXPO

Quando Cantone era contro Sala (e le sue deroghe)

Quando Cantone era contro Sala (e le sue deroghe)

Expo è un successo. Anzi un trionfo. Un esempio da seguire. Questa è la narrazione che viene fatta dell’esposizione universale – prima ancora di sapere i veri numeri dei visitatori e di vedere i conti. Giuseppe Sala, poi, che di Expo è stato il gestore, è l’eroe da premiare con un posto da sindaco. Per far rientrare un po’ di realtà nella narrazione, è utile andare a rileggersi le critiche a Expo di Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, nella sua audizione del 18 febbraio 2015 davanti alla commissione Lavori pubblici del Senato (che raccoglieva elementi utili per esaminare il disegno di legge numero 1.678 del 2014 su appalti e concessioni).

Il presidente dell’Anac criticava anzitutto la macchinosità del codice degli appalti del 2006, composto di ben 257 articoli a cui vanno aggiunti vari articoli bis e commi, oltre a un regolamento fatto di altri 359 articoli “che finisce per apparire non come una normativa attuativa, ma come un altro codice”. Poi fa partire la sua bordata su Expo. Un codice così farraginoso, dice Cantone, “ha giustificato, nella pratica, il ricorso frequente a normative speciali con la previsione di deroghe soprattutto per alcune grandi opere pubbliche; emblematico è il caso delle opere necessarie al grande evento Expo Milano 2015, per la realizzazione del quale le ordinanze del presidente del Consiglio e successivamente una legge ad hoc hanno introdotto la possibilità di derogare a ben 85 articoli del codice!”.

Questa è la strada sbagliata, sottolinea Cantone. Bisogna invece, come dice l’articolo 1 del disegno di legge delega che la commissione stava esaminando, “evitare il ricorso a sistemi derogatori rispetto alla disciplina ordinaria”. Dunque Expo è stata la grande sagra della deroga. Così ha aperto le porte, da una parte, alle illegalità e alle corruzioni che sono state evidenziate dalle tante indagini giudiziarie; dall’altra, alla discrezionalità con cui il commissario Sala ha gestito appalti e assegnato centinaia di milioni di euro, senza alcuna trasparenza sui criteri di gestione e assegnazione.

Decine di milioni sono stati distribuite, per esempio, a giornali e tv, per garantire sostegno e “buona stampa” a Expo. Altre decine di milioni sono state assegnate dal commissario fuori dalle sue prerogative. È quanto contesta a Sala l’audit sulla “piasta”, ossia il documento delle obbligatorie analisi di controllo sul più grande appalto Expo. Redatto da due società di consulenza, Adfor e Sernet, e datato 25 giugno 2014, l’audit allinea 15 osservazioni pesantemente critiche sulla gestione degli appalti.

Una di queste contesta a Sala di essere andato oltre i suoi poteri di spesa: come amministratore delegato poteva spendere fino a 10 milioni; ma in un guazzabuglio di “inaccuratezze nella predisposizione delle determine”, “refusi nell’indicazione del valore massimo di spesa”, “riferimenti a documenti interni non presenti”, il commissario, nell’arco di due mesi, ha firmato sette determine tutte sotto i 10 milioni, con le quali però ha affidato alla società Mantovani lavori per ben 34 milioni, più del triplo di quello che poteva fare.

Clamoroso un altro caso, quello dell’appalto affidato all’imprenditore Oscar Farinetti, grande amico (e finanziatore) del presidente del Consiglio Matteo Renzi: alla sua Eataly viene assegnata, senza gara, la gestione della ristorazione dentro Expo, in due “stecche” di 8 mila metri quadrati in cui hanno funzionato per i sei mesi dell’esposizione 20 ristoranti, con 120 ristoratori che si sono dati il cambio: scelti da Farinetti. Un business milionario che l’imprenditore ha gestito con il solo impegno di girare a Expo una royalty del 5 per cento sugli incassi.

Quanto? Non si sa. Trasparenza zero. Dopo gli articoli del Fatto quotidiano, Cantone aveva contestato a Sala quell’affidamento diretto, aveva “ritenuto non del tutto soddisfacenti le spiegazioni ricevute” e aveva segnalato l’operazione alla Procura di Milano. Ma tutto è andato avanti fino alla fine come deciso da Sala, tra gli applausi di chi diffonde la narrazione di Expo come grande successo dell’Italia, della trasparenza e della legalità.

Il Fatto quotidiano, 20 dicembre 2015
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