Così Milano è diventata Matrix, il luna park dell’immobiliare
A Milano la Pubblica amministrazione ha progressivamente rinunciato a pianificare la città, in nome di uno sviluppo guidato dai privati, dai fondi immobiliari o da società pubbliche (come Ferrovie dello Stato) che si comportano da immobiliaristi privati. Viene via via uccisa l’urbanistica (cioè la progettazione regolata della città in nome del bene comune), sostituita dalla “rigenerazione urbana”, termine-trappola per far digerire la cementificazione di ogni spazio residuo in città, senza regole, con incentivi volumetrici e la possibilità di costruire pagando gli oneri di urbanizzazione più bassi d’Europa. Ma tutto ciò è raccontato con una lingua che crea la realtà virtuale di una città in crescita, cool, sexy e green. Una Milano da rendering, perfetta e desiderabile. Una Milano-Matrix, dove ciò che vedi sembra fabbricato dal racconto che ne è stato fatto.
Milano è attrattiva, perché è stata trasformata in un “paradiso fiscale” dell’immobiliare, dove costruire è facile e poco costoso. Bassi oneri di urbanizzazione e regole urbanistiche allentate, quando non del tutto dimenticate, secondo quello che potremmo chiamare il “nuovo Rito ambrosiano”, fatto di consuetudini che superano le norme e aggirano le leggi. I fondi finanziari internazionali hanno investito a Milano 15 miliardi tra il 2014 e il 2018 e ne investiranno altri 13 tra il 2019 e il 2029, destinati a “sviluppare” e trasformare 10 milioni di metri quadri di città. Queste le previsioni dell’assessore alla Rigenerazione urbana (quella che un tempo era l’Urbanistica) Giancarlo Tancredi. Milano è prima in Europa per investimenti legati all’immobiliare, seguita da Monaco (10,8 miliardi) e Amsterdam (10,2 miliardi).
Quello che è successo a Milano negli ultimi anni è riassumibile in due righe: è stato pianificato di costruire su molti milioni di metri quadrati di aree dismesse e, contemporaneamente, di “densificare” le aree già urbanizzate. La chiamano “rigenerazione urbana”, ma è aumento del cemento senza troppi benefici per gli abitanti della città. Il risultato è che la Milano luna park dell’immobiliare è diventata una città “premium” (copyright Dario Di Vico), che attira turismo e investimenti, una Venezia del postmoderno, un Eldorado per i fondi internazionali. Ma una città sempre più difficile per i suoi abitanti: a causa del costo della vita e soprattutto dell’abitare, con i prezzi delle case aumentati in dieci anni del 40 per cento per l’acquisto e del 43 per cento per l’affitto, a fronte di salari cresciuti solo del 5,4 per cento.
Crescono le disuguaglianze, aumenta il numero di quanti sono di fatto espulsi da Milano. Sta avvenendo una vera e propria “sostituzione etnica”, o almeno sociale: via i più fragili, dentro i più ricchi. Questo è il Modello Milano: grande ricchezza per pochi, impoverimento ed espulsione per molti. Le amministrazioni hanno abbandonato le periferie, ridotto i servizi pubblici e privatizzato ogni cosa, perfino i marciapiedi (diventati dehor per i mille locali della foodification, in una città che di notte si trasforma in una Disneyland del cibo e dei drink). Il ritmo della città è segnato dalle mille Week – Fashion Week, Design Week, Digital Week, Music Week, Wine Week e via così all’infinito – e sull’eventificio che moltiplica un terziario dell’intrattenimento che vorrebbe essere creativo ma diventa noiosamente ripetitivo.
Dopo anni di trasformazioni, il sindaco Giuseppe Sala realizza il sogno di Letizia Moratti, che lo chiamò a Palazzo Marino nel 2009 come “city manager” e poi lo mandò a preparare l’Expo 2015: è lei ad avviare il progetto di Milano città premium. Milano era città del fare e del sapere. Era capitale morale, grande industria e piccole botteghe, professioni, case editrici e università. Adesso è diventata città della rendita, dove è più conveniente affittare su Airbnb l’appartamento avuto in eredità da papà che inventarsi un’attività creativa o rischiare un’impresa produttiva.
Sono arrivati, è vero, investimenti per miliardi. Ma che cosa resta, alla città e ai cittadini? Più inquinamento, meno suolo e meno servizi, perché le regole (lasche) con cui si è lasciato edificare rendono pochissimo alla collettività: è piccola la quota degli immensi profitti realizzati che viene restituita alla città in termini di verde, servizi, asili, trasporti, piscine… Le mani sulla città prendono molto e danno in cambio poco. Si stima che a Milano la percentuale del valore realizzato dagli operatori immobiliari che torna alla città sia attorno all’8%. A Monaco di Baviera è in media del 30%. Senza contare che, tra i mancati oneri urbanistici e la sottovalutazione delle monetizzazioni degli standard, Milano in questi anni potrebbe aver perso 2 miliardi di euro.