MILANO

Il chiodo di Salvini e lo stadio di Sala. Le responsabilità politiche delle infiltrazioni mafiose a Milano

Il chiodo di Salvini e lo stadio di Sala. Le responsabilità politiche delle infiltrazioni mafiose a Milano

L’opinione pubblica democratica è insorta, davanti alla giustificazione del ministro delle infrastrutture Matteo Salvini per il grande blocco ferroviario del 2 ottobre 2024: tutta colpa di un chiodo, ha detto, piantato in una centralina da un addetto di un’azienda privata, esterna alle Ferrovie dello Stato. I social lo hanno subito inchiodato (è il caso di dirlo) nei meme su chiodi e nonni. E i commentatori gli hanno ricordato che un ministro deve assumersi le sue responsabilità.

Nelle stesse ore, a Milano è in corso uno scandalo di grande portata. Sono stati arrestati i boss della curva dell’Inter, accusati di una serie di reati (compreso un paio di omicidi) e di aver stretto rapporti con la ’ndrangheta. Si erano impossessati di business redditizi come i parcheggi attorno allo stadio Meazza. Dov’era il Comune di Milano, proprietario dell’impianto? Dov’era il sindaco Giuseppe Sala, così attento a San Siro quando si tratta di mercanteggiare affari immobiliari a beneficio dei fondi esteri che controllano (al momento) Inter e Milan?

Non parliamo naturalmente di responsabilità penali, che sono personali e riguardano azioni specifiche. Ma nessuno ha rilevato le responsabilità politiche di un’amministrazione che permette che un simbolo della città, la “Scala del calcio”, cada nelle mani di hooligans spregiudicati, violenti, fascisti, trafficanti di droga e alleati della mafia? Nell’Italia dei doppi standard, Salvini deve assumersi le responsabilità del chiodo, ma Sala non deve neppure riflettere sul fatto che la ’ndrangheta ha messo le mani su San Siro (dopo averle messe anche sui mercati comunali, vedi quello dell’Isola in piazzale Lagosta).

Certo, ci sono responsabilità dei club, Inter e Milan, che da anni fanno finta di non vedere che cosa combinano le loro curve, anzi le usano e le coccolano. Sui nerazzurri è stato avviato un procedimento per una misura di prevenzione, con la nomina di due consulenti incaricati di valutare se erano adeguate le misure organizzative della società per prevenire infiltrazioni e reati. Il club, secondo i magistrati, è responsabile anche del “gravemente carente controllo degli ingressi allo stadio, fonte di ulteriori guadagni nonché di pericoli non certo irrilevanti”. Un analogo procedimento di prevenzione è in corso anche per il Milan. La giustizia farà il suo corso. Ma la pubblica amministrazione? Erano adeguate le sue iniziative di prevenzione e controllo?

I pm segnalano l’“ancora una volta totale sottovalutazione del fenomeno” e “il completo scollamento dalla realtà dello stadio”. Hanno ragione: l’amministrazione, il suo sindaco, l’assessore allo sport non hanno battuto ciglio su quello che succedeva nel lato oscuro di San Siro. Ma non ce la si può prendere con la Commissione antimafia del Comune, che almeno ha tentato di affrontare il problema, convocando una seduta in cui sono stati interrogati due manager dell’Inter, in relazione a un anticipatore articolo di Davide Milosa uscito il 17 gennaio 2024 sul Fatto quotidiano (“Il sistema Curva Nord Milano, finte onlus, affari e criminalità”).

La “sottovalutazione” indicata dai pm va cercata più in alto. In una organizzazione che ha lasciato a una società privata, la M-I Stadio, il completo controllo del Meazza, di proprietà comunale. Nella più totale opacità: M-I Stadio è un poltronificio formalmente privato, ma in cui nei fatti la politica si intreccia con gli affari; i cittadini sono privati, questo sì, del diritto a conoscere i veri conti di un loro bene: quanto incassa M-I Stadio dai concerti? quanto valgono gli “scomputi” per le manutenzioni (domanda già fatta dalla Corte dei conti)? Tutto ciò, in una deriva in cui Sala da cinque anni ha considerato San Siro solo un affare immobiliare da mercanteggiare come in un suq con i rappresentanti di fondi anonimi, in un mercato dei tappeti sfociato nell’attuale proposta di vendere la “Scala del calcio” ai club: magari per lasciargliela demolire.

Il Fatto quotidiano, 4 ottobre 2024
To Top