Mafiosi e agenti segreti: la “strage di Natale”, 40 anni dopo
Esattamente 40 anni fa fu realizzata la più misteriosa delle (tante) stragi italiane, passata alla storia come “la strage di Natale”. Era il 23 dicembre 1984: il treno rapido 904 Napoli-Milano, alle 19.08 fu squarciato da un’esplosione dentro la galleria sotto l’Appennino, tra Firenze e Bologna, prima di San Benedetto Val di Sambro. Ci furono 16 morti e 267 feriti.
Terrore puro: una strage inspiegabile, senza rivendicazioni, l’antivigilia di Natale. L’Italia aveva fino ad allora conosciuto le stragi nere, realizzate dal 1969 (piazza Fontana) al 1980 (Bologna) da gruppi neofascisti con la copertura e i depistaggi degli apparati dello Stato. La bomba del 1984 ebbe invece tra gli organizzatori ed esecutori uomini delle mafie, i boss di Cosa nostra Pippo Calò e Guido Cercola, e della Camorra, Giuseppe Misso. In verità Misso era un uomo-cerniera tra camorristi e neofascisti, con un suo gruppo erede di Ordine nuovo. È Misso a ricevere l’esplosivo da un nero, Massimo Abbatangelo, subito dopo candidato dal Movimento sociale italiano ed eletto alla Camera: è lo stesso Msi della fiamma tricolore che Giorgia Meloni rivendica come la “comunità politica” da cui proviene.
I processi che sono stati celebrati hanno condannato in via definitiva Calò e Cercola (ergastolo) come organizzatori e Franco D’Agostino (a 24 anni) per aver piazzato l’esplosivo sul treno. Assolti dall’accusa di strage il fascio-camorrista Misso, condannato (a 3 anni) solo per detenzione di esplosivo, e il missino Abbatangelo (a 6 anni) per averlo fornito. Non fu semplice raggiungere quelle condanne: perché cancellate in Cassazione dal giudice Corrado Carnevale, all’epoca soprannominato “l’ammazzasentenze”. Si dovette celebrare un secondo appello.
La “strage di Natale” è l’anello di congiunzione tra le stragi nere (1969-1980) e le stragi mafiose (1993-1994). Segna l’entrata in campo delle mafie come protagoniste del terrorismo politico. L’eterna strategia della tensione, sempre pronta a riemergere dalle viscere occulte del potere italiano, ha come attori visibili prima i neofascisti, poi i mafiosi.
Ma c’è una continuità che dev’essere ancora approfondita, e che è l’oggetto della nuova inchiesta sulla “strage di Natale” aperta nel febbraio scorso dalla Procura di Firenze. Che ruolo hanno gli apparati dello Stato nella nuova strategia della tensione, piena di “citazioni” della vecchia? La galleria in cui fu fatta esplodere la bomba “mafiosa” di Natale è la stessa della strage “nera” dell’Italicus (1974).
Per ora sappiamo soltanto che nel 1984 a confezionare il sofisticato telecomando “con ritardo” che ha innescato l’esplosivo sul rapido 904 è un tedesco che abitava a Roma, Friedrich Schaudinn. Era agli arresti domiciliari quando, nel 1988, ricevette la visita di quello che poi in un’intervista descrive come un “funzionario italiano”: “Si informò sulle faccende mie giudiziarie” e dieci giorni dopo tornò con un “passaporto nuovo” che lo fece tornare in Germania e scomparire per sempre. Giuliano Turone, nel suo nuovo libro Crimini inconfessabili (Fuori Scena) ipotizza che Schaudinn possa essere “il tedesco” che entrò nella stazione di Bologna la mattina del 2 agosto 1980 poco prima dell’esplosione.
Perché fu fatta, la “strage di Natale”? La prima spiegazione fu che quel botto serviva a Cosa nostra come diversivo per frenare le indagini antimafia in Sicilia. Più convincente l’ipotesi di Stefania Limiti (vedi il suo blog sul fattoquotidiano.it): a giugno 1984 era avvenuto il “sorpasso”, il Pci (anche sull’onda dell’emozione per l’improvvisa morte di Enrico Berlinguer) alle elezioni europee aveva raggiunto il 33% dei voti, un punto in più della Dc. “Tanto bastò”, scrive Limiti, “a riattivare gli spietati custodi degli equilibri atlantici”. Commentò allora Rino Formica, ministro delle Finanze socialista: “Ci hanno avvertito, ci hanno mandato a dire che l’Italia deve stare al suo posto sulla scena internazionale”.