Migranti, la delega all’Albania certifica il no all’accoglienza
di Diego Motta /
Assomiglia a una resa il voto scontato con cui ieri il Senato ha ratificato in maniera definitiva l’accordo Italia-Albania sui migranti. Una resa agli stessi trafficanti di uomini cui si sarebbe dovuto dichiarare guerra, come da propositi di governo. Lo Stato italiano delega dunque parte della prima accoglienza a Tirana, cui verranno garantite ampie risorse per la realizzazione di due strutture con capienza massima di tremila posti, destinate ad ospitare persone soccorse nel Mediterraneo dalle nostre autorità.
L’investimento è importante, tanto da arrivare addirittura a 673 milioni in 10 anni, come ha ricordato ieri monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Commissione per le migrazioni della Cei e della Fondazione Migrantes. Ma quel che stupisce di più è la filosofia di fondo che accompagna il provvedimento. Si mettono in campo idee, progetti e risorse non per organizzare in casa un sistema efficiente di presa in carico dei migranti che arrivano (non solo via mare, ma anche numerosi via terra come dicono le statistiche).
Si delocalizza di fatto la gestione dei flussi, in un complicatissimo puzzle tutto da comporre, tra salvataggi in mare, trasferimenti su terra albanese, realizzazione delle strutture. Ed è solo l’inizio, basti pensare a ciò che la burocrazia sta immaginando di fare dopo, con tempi e modi tutti da definire per l’eventuale riconoscimento del diritto di protezione e d’asilo o, per converso, per l’attivazione delle procedure di rimpatrio.
Gli interrogativi, più volte sollevati su queste pagine, restano gli stessi: davvero era necessario stanziare risorse per la costruzione di centri in Albania quando sul territorio italiano il sistema dell’accoglienza reclama da anni fondi, progetti e posti letto? Non valeva forse la pena di usare gli stessi soldi per raccogliere la richiesta di migliaia di sindaci della nostra penisola e costruire hub di primissima accoglienza sul nostro territorio per l’ospitalità di decine di migliaia di minori stranieri non accompagnati?
Perché infine spostare ulteriormente personale di polizia e mediatori culturali dal nostro Paese all’Albania, quando l’Italia proprio a causa della mancanza cronica di questi profili professionali non riesce a smaltire nelle città enormi ritardi nelle richieste di permessi di soggiorno fuori dalle Questure?
Di fatto, la decisione di delegare alla Tunisia prima e all’Albania poi rispettivamente il contenimento delle partenze verso le nostre coste e la prima gestione di parte dei flussi conferma la volontà di indebolire strutturalmente i percorsi di integrazione nel nostro Paese. Lo ha certificato questa settimana il rapporto della Fondazione Ismu, un soggetto terzo nella valutazione delle politiche migratorie.
Nel sottolineare come l’intesa tra i due Paesi abbia, a partire dai numeri molto bassi, «un valore essenzialmente simbolico», il dossier presentato a Milano chiarisce innanzitutto come manchino «ancora tutte quelle disposizioni indispensabili non solo per la realizzazione dei centri e la loro operatività, ma anche per consentire in concreto ai nostri giudici e alle commissioni territoriali di valutare tutti i casi per quanto di competenza e richiesto.
L’impressione, comunque, è che, se si vorrà davvero realizzare il progetto d’accoglienza di cui all’accordo, l’onere sarà notevole». Costi molto più alti, dunque, a patto semplicemente di tenere lontani dagli occhi della nostra opinione pubblica sbarchi e soccorsi dei migranti. «Sorprende – continua il rapporto Ismu – che si tenti di giocare una simile carta in un contesto nel quale in Italia si fatica ad accogliere, rispettando i diritti e con procedure rapide ed efficaci; non potendo ignorare che farlo con persone “ospiti” in Albania sarà comunque assai più difficile».
Chi dall’opposizione ieri ha parlato di «gigantesco spot elettorale», studiato per distogliere l’attenzione dei cittadini dalle evidenti difficoltà del governo in materia di immigrazione, sottovaluta il fatto che l’operazione Albania potrebbe anche rivelarsi un vero boomerang, incrementando il numero di navi che fanno la spola tra le due sponde dell’Adriatico, allargando pesantemente gli equivoci di tipo legale sulla gestione extraterritoriale delle richieste d’asilo e delle procedure di trattenimento, ingigantendo infine mediaticamente problemi che sarebbero stati gestibili con il coinvolgimento equilibrato dei nostri enti locali.
Senza dimenticare peraltro che non sono ancora chiari i criteri in base ai quali si potranno “selezionare” le persone salvate in mare dalle navi militari, in base a cui si deciderà l’assegnazione automatica di un porto piuttosto di un altro e, da ultimo, si terranno in considerazione età e stato di salute degli stessi profughi. Si dirà: è il prezzo da pagare all’idea della “fortezza Europa”, che ha ormai nel nostro Paese un interprete di primo piano.
Finora, la stessa Commissione ha evitato di entrare sullo scomodo argomento dicendo che il protocollo non viola il diritto comunitario semplicemente perché si colloca «al di fuori» di esso. Un tentativo di starsene alla larga, soprattutto a pochi mesi dalle elezioni che rinnoveranno l’Europarlamento. Spiace dirlo, ma anche questa presa di posizione assomiglia in fondo a una resa.