La coop che fa la banca e non restituisce i soldi ai soci
L’assemblea sociale “risolutiva” prevista per il 14 dicembre 2016 non c’è stata: Unacoop, cooperativa edilizia con attività soprattutto nell’area nord di Milano, tra Quarto Oggiaro e Bollate, s’avvia invece verso la liquidazione coatta. Un’altra coop rossa sprofonda nei debiti, risucchiando nel vortice della crisi i risparmi dei suoi soci. Unacoop – “urbanistica nell’avvenire”, secondo quanto promette il logo – nasce nel 2008 dalla fusione di due antiche cooperative operaie, la Urbanistica Nuova di Bollate e la Avvenire di Musocco, nata nel 1903. Oggi ha 4.400 soci e 720 di questi hanno aperto presso la coop anche un libretto di deposito su cui hanno versato i loro risparmi o la liquidazione, in cambio di un tasso d’interesse un po’ più alto di quello offerto dalle banche. È il cosiddetto “prestito sociale” delle coop, che di fatto fanno le banche senza esserlo: con questo sistema, Unacoop ha raccolto 16 milioni di euro, che ora sono a rischio.
L’allarme è scattato nell’estate 2016, quando qualche socio si è presentato nella sede della cooperativa chiedendo di ritirare i propri risparmi. La risposta è stata che in cassa non c’erano più soldi. Intanto non si riesce nemmeno ad approvare il bilancio 2015: i revisori di Pkf lo bocciano e il collegio sindacale della cooperativa invita i soci a non votarlo in assemblea. Ci sono almeno 1,9 milioni di debito tributario, previdenziale, iva e imu non pagate e ritenute sul prestito sociale non versate. E c’è anche il dubbio che siano stati superati i limiti di raccolta del prestito sociale, che non può superare il triplo del patrimonio netto.
Nell’estate piombano a Milano gli ispettori del ministero dello Sviluppo economico, che guardano le carte, sentono qualche socio e alla fine scrivono un rapporto di fuoco: hanno avuto grandi difficoltà perfino ad avere a disposizione i documenti che chiedevano; e hanno rilevato che l’85 per cento di quello che a bilancio è segnato come “attivo circolante” è costituito in realtà da immobili invenduti, per un valore di oltre 36 milioni di euro. Questo – scrivono gli ispettori ministeriali – significa che “la cooperativa non sembra in grado di poter corrispondere alla risoluzione dei debiti esigibili”, né quelli verso le banche, né quelli nei confronti dei soci risparmiatori che hanno affidato i loro risparmi alla coop.
Il boss della cooperativa, Antonio Serravillo, negli anni Settanta e Ottanta assessore comunista all’Urbanistica del Comune di Bollate, aveva predisposto un piano per uscire dalla crisi: costituire un fondo immobiliare chiuso della durata di cinque anni gestito da Serenissima sgr, al quale conferire gli immobili costruiti dalla cooperativa, iscritti a bilancio al valore di 41 milioni e gravati da mutui per circa 29 milioni. Un piano che rimanda di cinque anni i problemi, ma non mette in circolo un centesimo e non risolve la crisi di liquidità. Su questo “piano industriale” Serravillo ha costruito una campagna quasi da referendum, invitando i soci ad approvarlo insieme al bilancio 2015 e minacciando sfracelli in caso di vittoria del no: aumento degli affitti e delle spese, perdita dei risparmi depositati. Ma ci ha pensato il ministero a non giudicarlo credibile e ad avviare la liquidazione coatta prima dell’assemblea chiamata a dire sì.
Ora qualche socio punta il dito sulla gestione fallimentare di Serravillo. “Ha dimenticato le finalità sociali della nostra cooperativa, che fu costituita nel 1903 per promuovere ‘il benessere della classe lavoratrice’ e per sostenere ‘la vecchiaia dei soci’ e ‘l’istruzione corrispondente ai bisogni della classe operaia’. Il presidente l’ha trasformata in un’impresa immobiliare. E l’ha portata al fallimento”. Ha costruito case a Novate Milanese restate desolatamente invendute. Ha comprato terreni in Toscana. Ha edificato un palazzo a Bovisio Masciago in zona proibita, nell’alveo del fiume Seveso, ricevendo dal Tar l’ordine di abbatterlo.
La piccola storia di Unacoop rimanda alla più ampia vicenda di tante cooperative finite nel crac, edificatrici (come la Di Vittorio di Parma) e di consumo (come la Coopca di Udine e la Cooperativa Operaia di Trieste). Adesso sarà il liquidatore a dover gestire la situazione pesante di Unacoop. E non è escluso che anche la Procura della Repubblica voglia mettere il naso nelle carte dell’ex assessore che si fece palazzinaro.