Siamo in guerra. La “guerra ibrida” (dopo aver dimenticato la “guerra non ortodossa”)
Siamo in guerra. L’Italia non è schierata (ancora – e speriamo mai) sul campo di un conflitto convenzionale, ma è pienamente dentro la “guerra ibrida” (hybrid warfare) che contrappone Occidente e Russia di Putin. “Ibrida” perché alle armi che mandiamo in Ucraina si aggiungono in Italia altre armi, la politica, la propaganda, la guerra cibernetica, l’influenza sui social network, le fake news.
Lo abbiamo visto con la massiccia campagna pubblicitaria internazionale (“Be brave like Ukraine”, “Sii coraggioso come l’Ucraina”); con le centinaia di post filo-russi o filo-ucraini che girano sul web, su Tik Tok e sui canali Telegram; con i rapporti riservati dell’intelligence italiana (l’Hybrid Bullettin del Dis) parzialmente rivelati dopo la pubblicazione sul Corriere della sera della lista dei “putiniani d’Italia”; con l’incredibile rapporto presentato in Parlamento da un paio di deputati del Pd (che all’ultimo momento si sono sfilati) contro giornalisti, opinionisti e professori (da Corrado Augias ad Alessandro Barbero, da Barbara Spinelli a Oliver Stone, da Eva Giovannini a Marc Innaro…) additati come “putiniani”.
Intanto Svezia e Finlandia entrano nella Nato e gli Usa aumentano le loro truppe schierate in Europa e in Italia. L’Italia è in guerra, dunque. In piena “guerra ibrida”. Ma come al solito non impara dal suo passato. Per decenni ha combattuto un’altra guerra non convenzionale, quella “non ortodossa” dell’Occidente contro il comunismo, ma non ha fatto tesoro di quella (terribile) esperienza.
Intendiamoci: la “guerra psicologica” o “guerra rivoluzionaria” o “non ortodossa” degli anni della Guerra Fredda era diversa da quella a cui assistiamo oggi. Ieri lo scontro era mortale e senza esclusione di colpi, ammetteva pianificazioni segrete (dal Piano Solo a Gladio, dalle minacce golpiste alla P2), il dossieraggio di massa, l’utilizzo di “truppe irregolari” (i neofascisti di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale), il ricorso ad “azioni coperte” e “sotto falsa bandiera”, l’utilizzo-shock di bombe e stragi.
È ipotizzabile che oggi si sia lontani da quel tremendo volume di fuoco, di delitti e di ferite alla Costituzione. Ma il “metodo di lavoro” è lo stesso, con lo stesso rischio che siano ridotte o sospese – senza dichiararlo – alcune garanzie costituzionali, in nome della situazione d’eccezione. La guerra non solo avvelena il dibattito pubblico e incattivisce i rapporti, impoverisce l’economia e blocca la transizione ecologica, ma offre anche il pretesto per ridurre diritti e libertà. Oggi in nome della “lotta alle fake news”.
Naturalmente è legittimo, anzi addirittura doveroso, che la nostra intelligence effettui il monitoraggio della situazione e scopra eventuali reati, da segnalare subito alla magistratura, come prevede la legge. Non è tollerabile invece che opinioni difformi da quelle mainstream, del governo e dei principali giornali siano oggetto di liste di proscrizione (brutta copia di quelle redatte dal Sismi di Nicolò Pollari e Pio Pompa, che tra il 2001 e il 2006 catalogavano diligentemente gli oppositori di Silvio Berlusconi).
Le opinioni vanno rispettate – finché non diventano reati – anche quando si oppongono al governo e anche quando sono discutibili o sbagliate. Certo, in Italia esistono le fake news ed esiste anche la disinformazione filo-russa (e la propaganda filo-Nato). Ma non possono essere combattute con un “tribunale della verità di Stato”, o con le liste di proscrizione dei nemici dell’Occidente, o con le linee guida di partito su come bisogna trattare la guerra (e tanto meno punendo Julian Assange per aver rivelato crimini di guerra e violazioni dei diritti umani). La cattiva informazione si combatte con la buona informazione, e il giudice può essere solo il lettore. Ma l’Italia ormai è in guerra, seppur “ibrida”. E il passato ci insegna che in guerra vale tutto.
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