Che brutto inizio, Sala già nel registro degli indagati
Se Roma piange, Milano non ride. Anzi. Dovrebbe singhiozzare. Il problema è quello delle dichiarazioni – imprecise, forse false – dei neosindaci delle due città. Virginia Raggi ha avuto una sorpresa dalla Procura di Roma, che ha aperto un fascicolo sulle sue autocertificazioni relative agli incarichi ricevuti, come avvocato, dalle Asl laziali. Non li ha dichiarati, o non li ha dichiarati tempestivamente e compiutamente. La vicenda è stata sollevata nelle settimane scorse dal Fatto quotidiano e poi da un esposto presentato da un’associazione vicina al Pd. Ora la Procura di Roma ha aperto un fascicolo “a modello 45”, cioè senza ipotesi di reato e senza indagati.
Ma qualcosa di molto simile e di simmetrico è successo anche a Milano. Nell’aprile scorso, sempre il Fatto quotidiano ha raccontato la vicenda di un’altra dichiarazione incompleta o falsa: quella di Giuseppe Sala, che nel febbraio 2015, da amministratore delegato di Expo, ha firmato (“Sul mio onore dichiaro…”) un’autocertificazione in cui ha “dimenticato” di segnalare, tra le sue proprietà e attività economiche, una casa in Svizzera, un’immobiliare in Romania e una società in Italia (Kenergy). Questo è costato al neosindaco, dopo gli articoli del Fatto e l’esposto di un politico di centrodestra, l’ex vicesindaco Riccardo De Corato, l’apertura presso la Procura di Milano – già durante la campagna elettorale – di un fascicolo “a modello 21”, come si dice tecnicamente, cioè con iscrizione di Giuseppe Sala nel registro delle notizie di reato a carico di persone note. L’appena eletto sindaco di Milano è dunque già iscritto nel registro degli indagati. L’iscrizione è stata tenuta riservata, per non interferire con la campagna elettorale e non prestare il fianco a operazioni di propaganda politica.
Ma ora che la campagna elettorale è chiusa, la Procura milanese procede, avendo davanti due strade. La prima è quella di considerare il comportamento di Sala un possibile reato: falso in autocertificazione, effetto del Decreto Dpr 445 del 2000 che regola, appunto, le autocertificazioni sottoscritte dai cittadini di fronte alla pubblica amministrazione. All’articolo 76, il Dpr richiama il codice penale e rimanda alle pene previste dall’articolo 483: fino a 2 anni di reclusione. Se la Procura seguirà questa via, il pm nelle prossime settimane rivolgerà al giudice delle indagini preliminari la richiesta di un decreto penale nei confronti di Sala, che il gip potrà accettare oppure respingere.
C’è una seconda strada. La Procura di Milano potrebbe convincersi, dopo aver studiato la normativa speciale sulla trasparenza (il Decreto 33 del 2013 che riguarda la pubblica amministrazione) che il fatto – la dichiarazione in cui mancano proprietà e attività economiche – non ha la qualificazione giuridica di reato di falso, ma è semplicemente un illecito amministrativo. In questo caso, il pm chiederà al gip di archiviare il procedimento e di trasmettere gli atti al prefetto di Milano, l’autorità che ha il potere di comminare le sanzioni amministrative previste. In ogni caso, un brutto inizio per l’appena eletto sindaco di Milano.