Dimenticata la grande retata, Milano è già tornata all’apericena
Passata la tempesta, Milano torna a far festa. Ha dimenticato in fretta lo shock della grande retata del 7 maggio, oltre 90 indagati, 43 arresti, gare truccate, un fiume di mazzette, uomini politici a libro paga di imprenditori disposti a pagare, funzionari pubblici pronti a vendersi per un piatto di lenticchie. E non ha proprio preso atto che, rispetto alla Tangentopoli di 27 anni fa, oggi c’è una novità, nerissima: dietro all’imprenditore che si compra il politico, ora c’è anche il boss della ’ndrangheta. Politico, imprenditore, mafioso: insieme a Milano come nella Sicilia del “tavolinu”. Nessuno si agita. Il sindaco Giuseppe Sala minimizza l’impatto della corruzione e rilascia serene interviste dagli Stati Uniti in cui recita il ruolo di chi è pronto a fare il grande salto come candidato del centrosinistra a Palazzo Chigi (E non si mostra preoccupato per la condanna a 13 mesi, per falso in atti Expo, richiesta dal pm al processo in cui è imputato).
Ha fortuna, Giuseppe Sala. Fortuna e buona stampa: ha fatto passare, aiutato dai giornali amici (quasi tutti), la convinzione che il centro della rete di corruzione svelata dall’inchiesta “Mensa dei poveri” sia il Pirellone della Regione Lombardia. In effetti, a raggiungere questo risultato lo ha aiutato il suo amico Attilio Fontana, il presidente leghista scivolato in comportamenti di certo discutibili (se siano anche reati lo stabiliranno i giudici) come affidare incarichi, pagati con soldi pubblici, al suo socio di studio, l’avvocato Luca Marsico: lo ha piazzato in una commissione regionale, gli ha fatto assegnare una consulenza delle Ferrovie Nord e finanche un mandato a difendere l’ospedale Fatebenefratelli contro un gruppo di medici.
Il centro della rete di corruzione svelato dall’inchiesta “Mensa dei poveri”, però, non è il Pirellone, ma Palazzo Marino. È attorno agli appalti del Comune e delle sue società partecipate (Amsa, A2a…) che ronzava il ras delle tangenti Daniele D’Alfonso (arrestato), imprenditore socio e prestanome del boss calabrese Giuseppe Molluso, collegato con i Barbaro-Papalia di Buccinasco (Milano) e di Platì (Reggio Calabria). Siede a Palazzo Marino come consigliere comunale Pietro Tatarella (arrestato), candidato di Forza Italia alle europee.
Sono dipendenti del Comune il dirigente dell’Urbanistica Franco Zinna e la geometra Maria Rosaria Coccia (indagati), pronti a concedere licenze per compiacere il forzista Fabio Altitonante (arrestato). È un uomo della galassia del Comune Mauro De Cillis (arrestato), responsabile operativo dell’Amsa, l’azienda milanese dei rifiuti, che secondo l’accusa trucca le gare d’appalto per lo sgombero neve, per la raccolta dei rifiuti pericolosi, perfino per la pulizia delle aree per cani e bambini, in accordo con un altro imprenditore vicino alle cosche, Renato Napoli.
Ha ragione il consigliere comunale Basilio Rizzo: “Mi sembra che non si sia colta la portata di quello che è accaduto nella nostra città. Noi abbiamo il dovere di fare tutto quello che è utile per impedire che episodi come questi si ripetano. Sono emerse cose che non sono giudicabili dalla magistratura, ma sono fatti: spartizione di nomine e di incarichi, bandi costruiti su misura, appalti assegnati per spartizione predeterminata, decisa dagli operatori e non da chi deve decidere. Tre o quattro anni fa, in occasione di altre indagini, avevo richiesto più volte in Consiglio i famosi audit di cui non ho saputo nulla. Se niente cambia, come possiamo non pensare che tra due anni le cose si ripeteranno? Che cosa ci facevano gli uomini della Mm ai pranzi insieme agli arrestati? E le aziende citate nelle carte dell’inchiesta stanno lavorando ancora per la nostra amministrazione?”. Aspettiamo risposte da Sala, possibilmente prima che parta per Palazzo Chigi.