Due donne saranno le protagoniste della prossima assemblea degli azionisti Eni, martedì 14 maggio. Una sarà presente: la presidente Emma Marcegaglia. L’altra no: è Marie Magdalena Ingoba, detta Madò, cittadina congolese che ha sposato molti anni fa Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni.
Le due signore incrociano i loro destini il 13 aprile 2017, quando Marcegaglia, durante l’assemblea degli azionisti, rispondendo a una domanda afferma che “non esistono, in Congo, a oggi, legami contrattuali tra Eni e la società Petro Services”. Non era vero. Tanto che all’assemblea successiva, il 10 maggio 2018, Marcegaglia ammette l’“incompletezza” delle informazioni fornite agli azionisti, dovuta a una sua “affrettata lettura”, e conferma che Eni invece ha avuto rapporti commerciali con Petro Services per 104 milioni di dollari.
A fine 2018, una rogatoria in Lussemburgo disposta dalla Procura di Milano aggiunge un ulteriore elemento alla “incompletezza” della presidente Eni: Petro Services, formalmente gestita da Alexander Haly, era controllata da Marie Magdalena Ingoba. È lei, Madò, la proprietaria di una società lussemburghese, la Cardon Investments Sa, che controlla la Petro Services Congo, fornitrice di Eni Congo, a cui dal 2012 al 2017 affitta navi e presta servizi.
L’8 aprile 2014, la moglie di Descalzi, allora capo del settore Esplorazione di Eni, vende la Cardon Investments, e dunque anche la Petro Services che lavora per Eni, ad Alexander Haly, uomo d’affari nato nel Regno Unito ma basato a Montecarlo. Sei giorni dopo la vendita, il 14 aprile 2014, l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi indica Descalzi come capo di Eni.
Dunque la compagnia petrolifera di cui Descalzi è ai vertici ha affidato lavori per molti milioni di dollari a una società della moglie di Descalzi. Questo dicono le carte in mano ai pm milanesi Fabio De Pasquale, Sergio Spadaro e Paolo Storari. Oggi Madò vive a Parigi e gira il pianeta, è una donna d’affari con interessi disseminati nel mondo, citata nei Panama Papers, lambita da un’inchiesta giudiziaria in Francia.
Ma non dimentica il suo luogo d’origine, dove sono nate le sue fortune, e cioè il ristretto circolo degli affari della Repubblica del Congo, che ruota tutto attorno agli affari personali del suo eterno presidente, Denis Sassou Nguesso. Di sua figlia, Julienne Sassou Nguesso, Madò è anche socia, in una società basata a Mauritius, la African Beer Investment Ltd.
Nell’assemblea degli azionisti 2018, rispondendo alle domande di Re:Common (l’associazione che da anni fa inchieste e campagne contro la corruzione), Emma Marcegaglia ha spiegato che presso la casella postale Bp 4801 di Point Noire, capitale economica del Congo, era domiciliata sia la Petro Services, sia la Elengui Ltd, società offshore di Marie Magdalena Descalzi basata nelle Isole Vergini Britanniche: ma solo perché, “essendo in Congo limitato il numero di caselle postali disponibili, la stessa casella postale viene assegnata a numerose persone e/o società”.
Le rogatorie hanno smentito anche questa affermazione della presidente dell’Eni. Ora i vertici della compagnia sono sotto inchiesta per corruzione internazionale in Congo e sotto processo per corruzione internazionale in Nigeria. E altre tre società della galassia Petro Services avrebbero incassato da Eni, secondo un’inchiesta dell’Espresso, oltre 310 milioni di dollari. Dicono a Re:Common: “Già lo scorso anno avevamo cercato di avere spiegazioni sul perché di tanta reticenza. Le ultime notizie sulle relazioni di Haly con la signora Descalzi spiegherebbero tutto”.
Il punto è che le reticenze sono della presidente Marcegaglia. Fin dall’inizio del suo mandato, a maggio 2014, si è distinta per l’energia con cui ha difeso il capo dell’ufficio legale Massimo Mantovani dalle critiche dei due consiglieri Karina Litvack e Luigi Zingales per la gestione del caso delle tangenti nigeriane. Adesso che ha scaricato Mantovani (indagato per associazione a delinquere), si parla di Marcegaglia per l’inchiesta siciliana sull’ex vicepresidente di Confindustria Antonello Montante.
I due sono legatissimi, e Montante deve a Marcegaglia (presidente di Confindustria dal 2008 al 2012) la sua folgorante ascesa confindustriale e non solo. Ma si comincia a sospettare che l’amicizia tra i due coinvolgesse anche l’Eni. Gli inquirenti rilevano che Nazario Saccia (non indagato), ufficiale della Guardia di finanza di Caltanissetta, è stato assunto all’Eni come security manager nel 2010, pochi mesi dopo aver guidato una spettacolare perquisizione al petrolchimico di Gela con il collega Ettore Orfanello, arrestato un anno fa con Montante.
In una telefonata tra i due all’inizio del 2016, quando Montante era già indagato per mafia, secondo un’annotazione della Squadra mobile di Caltanissetta, “il Saccia spiegava all’Orfanello che non gli piacevano delle situazioni all’interno dell’Eni e il Montante, attraverso la Marcegaglia, poteva fare valere la sua volontà, accontentandolo”.
Nel dialogo tra i due ex colleghi della Guardia di finanza si fa riferimento alla gratitudine che entrambi nutrono per Montante, un dettaglio che sembra alludere alla capacità di influenza sull’Eni dell’imprenditore siciliano. Entreranno questi pezzi di realtà nel salone dell’assemblea Eni 2019?