La Milano di Sala ha davvero cambiato strada dopo il no alla Salva-Milano?

Il sindaco Giuseppe Sala, la sua maggioranza a palazzo Marino e il Pd milanese hanno davvero cambiato strada, dopo essersi spinti nel vicolo cieco della Salva-Milano? Vediamo. Hanno ritirato la Salva-Milano. Hanno detto addio all’assessore alla casa Guido Bardelli. Hanno fatto un piccolo rimpasto di giunta. La svolta di cui hanno dovuto prendere atto è stata la comparsa nelle inchieste della Procura di Milano della corruzione, contestata per ora a Giovanni Oggioni, il Grande Vecchio dell’edilizia dentro (e fuori) gli uffici comunali. Incassava consulenze milionarie dai costruttori per dare il via libera ai loro progetti.
Bardelli invece manifestava al telefono l’intenzione di far cadere la giunta perché si era troppo allineata alle richieste della Procura (“Fanno il piano Petruzzella”, diceva alludendo alla pm delle inchieste); ma la cosa era stata poi risolta cooptando Bardelli nella giunta che prima voleva far cadere, con l’impegno a dare una mano, da tecnico esperto, per confezionare la Salva-Milano.
Legge scritta dagli indagati a Milano – abbiamo scoperto dalle intercettazioni – in contatto con parlamentari della destra a Roma. Per questo hanno dovuto lasciar cadere la Salva-Milano, ormai diventata impresentabile. E comunque già morta in Senato, a Roma. A Milano non potevano fare gli ultimi giapponesi.
Sala e i suoi ora dicono no al super-condono, rimpiangendo però di non aver fatto in tempo a farlo approvare (il ritiro è “un atto dovuto” ma “non è una resa”, ha detto il sindaco). Continuano comunque a chiedere “qualcosa” che li salvi, usando ora come scudo umano gli acquirenti dei palazzi abusivi (in realtà già tutelati dalla legge e dagli stessi giudici).
Dicono addio a Bardelli, ma piangendo lacrime amare per il suo mirabolante piano casa (vedremo cosa c’è dentro), per le sue capacità, per la sua gentilezza, per il suo buon carattere. Fanno un rimpastino che non cambia davvero nulla, con un giro di deleghe e l’arrivo di Fabio Bottero a poteri limitati. Sono costretti a dare qualche segnale che “l’aria è cambiata”. Ma che cosa è cambiato davvero?
Continuano a difendere il Rito ambrosiano che la Procura reputa fuori legge. Non si rendono conto che la Salva-Milano non va ritirata “perché sono cambiate le condizioni”, ossia è entrata in scena la corruzione; ma perché è il Modello Milano a essere arrivato al capolinea.
Da cambiare è la deregulation selvaggia del Rito ambrosiano, che permette da anni di costruire nei cortili, di spacciare nuove costruzioni per “ristrutturazioni”, di firmare convenzioni edilizie dal notaio, di tirar su grattacieli con una autocertificazione, la Scia, invece che con un piano attuativo, di far pagare gli oneri un quarto del dovuto, di impoverire le casse comunali con monetizzazioni degli standard a prezzi stracciati, di privare i cittadini dei servizi dovuti, di regalare impropri vantaggi ai costruttori.
È tutto questo che deve cambiare, tornando a un più equilibrato sviluppo della città pubblica, finora svenduta ai privati. La corruzione, la cricca dell’edilizia, i nuovi architetti da riporto, gli intrecci incestuosi dentro la Commissione paesaggio sono la gramigna cresciuta sopra il Sistema Milano, sopra la deregulation del Rito ambrosiano. Alla corruzione penserà la magistratura, al Sistema Milano da cambiare deve pensare la politica.
C’è tanto da fare, è necessaria una complessa inversione di rotta. Ma come potranno realizzarla quegli stessi che hanno costruito e consolidato il Sistema? La minaccia è: attenti, non esagerate con le critiche, così riconsegnate Milano alla destra. Per non farlo, è necessario costruire subito un progetto di città che smonti il Sistema Milano e apra una nuova primavera.