GIUSTIZIA

Condannati i pm di Eni-Nigeria

Condannati i pm di Eni-Nigeria Un’udienza del processo Eni-Nigeria a Milano

Sentenza di condanna per Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Una lettera al gruppo di lavoro dell’Ocse sulla corruzione: “L’Italia non fa abbastanza contro le tangenti internazionali”. 

Il ciclo iniziato nel 2014 con le inchieste della Procura di Milano sugli affari petroliferi di Eni all’estero si è chiuso ieri a Brescia, con la condanna dei due magistrati che rappresentavano l’accusa nel processo per corruzione internazionale in Nigeria. Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro sono stati condannati a 8 mesi per rifiuto di atti d’ufficio, cioè per non aver depositato in aula atti considerati favorevoli alle difese. Il processo Eni-Nigeria si è concluso nel marzo 2021 con una totale assoluzione per tutti gli imputati.

Condannati invece ieri i due pm, accusati di non aver depositato documenti raccolti da un loro collega, Paolo Storari, in un’inchiesta (Eni-complotto) parallela a quella Eni-Nigeria. Chat e messaggi che, a detta di Storari, provavano l’inattendibilità di un imputato del processo, l’ex manager Eni Vincenzo Armanna, che era diventato un accusatore di Eni e dei suoi manager di vertice.

De Pasquale e Spadaro, in accordo con l’allora procuratore Francesco Greco, avevano ritenuto gli elementi raccolti da Storari non certi, contraddittori, bozze ancora informi, spunti che necessitavano di perizie e approfondimenti e in definitiva non rilevanti per il processo sulla corruzione in Nigeria ormai alle battute finali: non li avevano dunque depositati.

Per questo il collegio giudicante del Tribunale di Brescia composto dal presidente Roberto Spanò e dai giudici Wilma Pagano e Paola Giordano ha accolto la richiesta dei pm di Brescia Francesco Milanesi e Donato Greco e del procuratore Francesco Prete di condannare De Pasquale e Spadaro a 8 mesi. Ha però respinto la loro richiesta di non concedere la sospensione condizionale della pena.

Il difensore degli imputati, l’avvocato Massimo Dinoia, nell’annunciare che farà appello contro la sentenza, ha commentato: “È un precedente pericoloso perché mette in discussione un principio fondamentale che è quello dell’autonomia delle scelte processuali di un pubblico ministero. C’è il rischio di permettere un condizionamento dall’esterno dei processi, perché i pm ora si sentiranno obbligati a depositare gli atti ricevuti da chiunque”.

Spadaro oggi è magistrato alla Procura europea. De Pasquale, che era a capo del dipartimento della Procura di Milano che si occupa di corruzione internazionale, fu il pm che riuscì a ottenere le condanne per Bettino Craxi (per corruzione, per le tangenti Eni-Sai) e per Silvio Berlusconi (per frode fiscale nei bilanci Mediaset). (Il Fatto quotidiano, 9 ottobre 2024)

Una lettera all’Ocse. “L’Italia non combatte la corruzione internazionale”

L’Italia non si impegna abbastanza nella lotta alla corruzione internazionale, anzi confeziona leggi che rendono più difficile contrastarla. Non solo: manda segnali negativi, come la condanna di due magistrati impegnati sul fronte anticorruzione. È quanto sostiene un nutrito gruppo internazionale di esperti e professionisti del contrasto alla corruzione (tra cui Drago Kos, ex presidente del comitato anticorruzione dell’Ocse) in una lettera aperta inviata al Working Group on Bribery dell’Ocse, il gruppo di lavoro anti-tangenti dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

“L’Italia”, si legge nella lettera, “non ha risposto in modo credibile alle raccomandazioni contenute nel rapporto Ocse del 2022”. In quel documento si segnalava “l’inadeguatezza dell’approccio e dell’impegno dell’Italia nell’affrontare la corruzione internazionale”. In particolare, “non sono state apportate modifiche alla legge italiana che possano contribuire a riportare l’azione penale italiana contro la corruzione in linea con la Convenzione”.

Cioè con il trattato sottoscritto anche dall’Italia nel 1997 che impegna gli Stati membri a perseguire la corruzione internazionale e a condannare i propri cittadini e le persone fisiche e giuridiche che pagano tangenti all’estero: affinché nessun Paese possa avere negli scambi internazionali un indebito vantaggio competitivo criminale. “Anzi”, continua la lettera, in Italia “sono state approvate leggi che rischiano di indebolire” le indagini. E sono stati attaccati anche i magistrati: “Sembra che ci sia stato uno sforzo concertato per porre completamente fine al lavoro chiave della Procura di Milano sulla corruzione internazionale”.

In particolare, “l’attacco ai pubblici ministeri del dipartimento internazionale della Procura di Milano costituisce una probabile violazione dell’articolo V della Convenzione”. Il riferimento esplicito è a Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, pm d’accusa nel processo in cui Eni era accusata di corruzione internazionale per una tangente di oltre un miliardo di dollari per ottenere in Nigeria il campo d’esplorazione petrolifero Opl 245.

Eni e i suoi manager sono stati tutti assolti, poi a essere condannati sono stati i due pm: per rifiuto d’atti d’ufficio, con l’accusa di non aver depositato nel processo Eni-Nigeria documenti considerati favorevoli agli imputati, ma dai due pm ritenuti non certi e non rilevanti. “Siamo molto preoccupati per il fatto che attacchi aggressivi e multiformi abbiano preso di mira due procuratori”: “ci riferiamo all’ex capo del dipartimento anticorruzione internazionale di Milano, Fabio De Pasquale (che il rapporto Ocse del 2022 aveva elogiato per il suo lavoro), e all’allora sostituto procuratore, Sergio Spadaro.

Sono stati rimossi dal processo d’appello alla sentenza del caso Opl 245. Sono stati poi sostituiti da un procuratore che, con una scelta giudiziaria straordinaria, ha rinunciato al processo prima ancora che iniziasse l’udienza d’appello. Questo atto ha avuto l’effetto di porre definitivamente fine a qualsiasi prospettiva di esame giudiziario dei fatti associati all’accordo corruttivo per il blocco petrolifero Opl 245”.

“Riteniamo molto probabile che quello che è iniziato come un esercizio per rimuovere i procuratori dalla gestione dell’appello (che sarebbe una violazione dell’articolo V), si sia poi trasformato in un più ampio sforzo per distruggere il ruolo nazionale chiave della Procura di Milano nella lotta alla corruzione internazionale”. “Com’era prevedibile, i procuratori sono stati dichiarati colpevoli di rifiuto d’atti d’ufficio e condannati a una pena detentiva differita di 8 mesi”.

Conclusione: “Non ci sfugge che non ci sono più stati casi credibili di corruzione internazionale portati in giudizio in Italia dopo la bizzarra fine del caso Opl 245. In conclusione, sembra che sia in atto uno sforzo concertato per impedire al sistema giudiziario italiano di trattare casi di corruzione internazionale”. (Il Fatto quotidiano, 11 ottobre 2024)

Il Fatto quotidiano, 9 e 11 ottobre 2024
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