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“Qui le radici della nostra democrazia”. Il presidente Mattarella ricorda la Repubblica partigiana della Carnia

“Qui le radici della nostra democrazia”. Il presidente Mattarella ricorda la Repubblica partigiana della Carnia

Questo il discorso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella ad Ampezzo (Udine) il 14 settembre 2024, per gli 80 anni della Zona libera della Carnia e dell’Alto Friuli.


Rivolgo un saluto di grande cordialità a tutti i presenti, al Ministro, al Presidente della Regione, al Sindaco, al Presidente della Comunità di Montagna, ai Sindaci presenti della Carnia. A Paola Del Din, che ringrazio molto per la sua preziosa testimonianza, e a quanti presenti che hanno fatto parte del movimento partigiano.

Il 1944 fu un anno carico di orrore, in Italia e in Europa. Il ritiro progressivo delle truppe naziste lasciava dietro di sé una drammatica scia di stragi. Ne sono testimonianza i villaggi dei nostri Appennini e delle nostre Alpi violati e incendiati, da Sant’Anna di Stazzema a Marzabotto, da Civitella Val di Chiana a Fivizzano. A Boves, alla Carnia.

L’offensiva alleata martellava le città con bombardamenti dagli esiti spesso tragici, come quello che portò, a Milano, alla morte di 184 bambini, nella Scuola elementare Francesco Crispi di Gorla.
Da Fossoli partivano i trasporti degli ebrei verso i campi di sterminio di Bergen-Belsen e di Auschwitz. Contemporaneamente prendeva forza il movimento di Resistenza al fascismo che, con il regime della Repubblica Sociale Italiana, era complice della ferocia nazista, (lunghi e forti applausi, ndr) e si affacciavano i primi embrioni di partecipazione politica e di aspirazione democratica.

Ad Ampezzo, la Repubblica oggi rende onore a quanti hanno contribuito alla causa della libertà, animando l’esperienza delle “zone libere”, delle “Repubbliche partigiane”. Una causa che come abbiamo visto poc’anzi, è stata portata avanti in maniera esemplare dalla Medaglia d’oro Paola Del Din.
Rientra (alla mente) una sequela di ricordi di queste esperienze di Zone liberate: da Montefiorino all’Ossola, dall’Alto Monferrato alla Valsesia, alla Carnia, venne offerto, con quelle esperienze, l’esempio di genti che non si accontentavano di attendere l’arrivo delle truppe alleate, ma intendevano sfidare a viso aperto il nazifascismo, dimostrando che questo non controllava né città né territori, mettendo a nudo quello che era: truppa di occupazione. Ecco perché la battaglia della Resistenza era una battaglia per l’indipendenza e per la libertà.

L’estate partigiana del 1944 si nutriva della convinzione che presto gli Alleati avrebbero sfondato la Linea Gotica, per porre rapidamente fine alla guerra, puntando dal Veneto verso l’Austria e i Balcani.
La convinzione era così diffusa da spingere il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia – il CLNAI – a porsi, il 2 giugno 1944, giusto due anni prima della data del referendum istituzionale, il problema della transizione dei poteri nelle terre occupate e a definire l’obiettivo dell’azione dei Patrioti con una circolare diretta ai Comitati di Liberazione regionali e provinciali.

Vi si diceva che “l’insurrezione nazionale, insieme alle operazioni condotte dall’esercito regolare, deve fornire la prova storica dell’opposizione del popolo italiano al nazifascismo e costituire così la sua riabilitazione di fronte al mondo intero”. Un’ambizione necessaria, per ridare all’Italia il suo posto tra le nazioni civili.

La Resistenza ricusava l’idea che il ruolo del movimento partigiano fosse, con azioni di guerriglia e di disturbo, esclusivamente di affiancamento all’offensiva delle truppe alleate. Di rincalzo venivano le istruzioni del Corpo Volontari della Libertà, poche settimane dopo, il 28 giugno, indirizzate alle formazioni partigiane, con una circolare sull’occupazione di passi e vallate, operazioni militari e organizzazione civile. In essa vi si affermava che “lo sviluppo del movimento partigiano comporta l’estensione delle zone controllate stabilmente dalle formazioni patriottiche e quindi la conseguente contro-occupazione di zone determinate, di paesi e intere vallate”.

Questo allo scopo anche di avere organi locali in grado di essere interlocutori con le forze alleate di cui si attendeva l’arrivo. Un’estate, un autunno, di attesa ansiosa e, insieme, di intensa preparazione di una nuova Italia, dopo gli anni bui del fascismo. L’offensiva alleata contro la Linea Gotica e l’azione delle formazioni partigiane misero a dura prova le forze tedesche e quelle della Repubblica Sociale e conseguirono l’obiettivo indicato: quello di dar vita a forme a esperienze di autogoverno territoriale.

Oggi, qui, ad Ampezzo, rendiamo onore ai Friulani che, con la Repubblica Partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli, vollero battersi per la loro terra, per la loro dignità, per le loro radici, per quei valori di solidarietà che hanno sempre caratterizzato la convivenza tra queste montagne (forti applausi, ndr).
Una Repubblica, anello di quella corona di “zone libere” che avrebbe contribuito a dare il senso alla nascita, dopo quello dissoltosi nell’estate del 1943, di un nuovo Stato, di un nuovo ordine costituzionale che non aveva più sudditi, bensì cittadini.

Quale era la percezione della vita democratica nel 1944? Dopo venti anni di dittatura in cui la memoria dell’ordinamento democratico era stata rimossa, occorreva far ritrovare ai cittadini il sentimento della libertà. Anche a questo corrispondeva il proposito di dar vita, nelle zone libere, alle forme di autogoverno che, ai comandi del Corpo Volontari della Libertà, univano la formazione di organi di potere popolare per regolare l’amministrazione della vita delle comunità locali.

Fu così qui in Carnia, dove le donne furono protagoniste per la prima volta nel voto, espresso nelle assemblee dei capifamigliae nella organizzazione del soddisfacimento dei bisogni della popolazione, come ricordava, poc’anzi, la presidente regionale dell’AnpiE questo avvenne con le “portatrici” che, riesumando l’esperienza del primo conflitto mondiale, seppero consentire la sopravvivenza della popolazione durante l’assedio.

Del resto, caratteristica del movimento partigiano era proprio la sollecitazione all’iniziativa e alla partecipazione dal basso, dopo due decenni di subalternità e di passività popolare, frutto dell’applicazione del precetto fascista “credere, obbedire, combattere” (forti applausi, ndr). La scelta politica di dare vita alle Repubbliche partigiane esprimeva una fase di maturità dell’esperienza della Resistenza, con anticipazione della futura esperienza democratica. La storiografia resistenziale ha definito la Carnia “laboratorio di democrazia”.

Nella opinione pubblica, dopo l’8 settembre 1943, era presente anche “l’attendismo”, la convinzione che fosse meglio non esporsi alle rappresaglie nazifasciste, e attendere che gli Alleati risalissero la penisola. Questo atteggiamento non teneva in conto le sofferenze imposte alle popolazioni, quelle sofferenze gravi imposte dalle forze occupanti, i soprusi, le deportazioni.

A levarsi furono i resistentiobbedendo all’ammonimento di Giuseppe Mazzini: “Più che la servitù temo la libertà recata in dono da altri”. Perché la Resistenza non era immobilismo. Fu una sfida dura e furono i caduti di questa terra, che la Repubblica ha onorato con la Medaglia d’argento al Valor Militare, che ne furono il prezzo. Detta medaglia reca questa motivazione: “La gente carnica osò lanciare una intrepida sfida all’invasore nazista e al suo alleato fascista, realizzando la Zona libera della Carnia, lembo indipendente d’Italia (forti applausi, ndr) retto dal governo democratico del CLN, formato da civili. E con una continua, eroica, tenace lotta, le divisioni partigiane Garibaldi e Osoppo, con l’appoggio delle popolazioni locali, uomini e donne, liberarono una estensione di 3.500 chilometri quadrati, che comprendeva ben 42 Comuni”.

 E la motivazione per la Medaglia d’argento al valore militare così aggiunge: “La difesa della Zona Libera e della sua capitale, Ampezzo, costrinse l’occupante a distogliere numerosi reparti dai fronti operativi per impiegarli nella repressione che costò ben 3.500 caduti, partigiani e civili, migliaia di deportati e internati, eccidi efferati, saccheggi, un bagaglio di vite umane nei Comuni di Enemonzo, Forni Avoltri, Forni di Sopra, Forni di Sotto, Ovaro, Paluzza, Paularo, Prato Carnico, Sutrio e Villa Santina. Alla macchia, in questa zona, fu un grande numero di alpini della Divisione Julia, sfuggiti alla cattura e al destino della deportazione in Germania”.

Il movimento partigiano oltre a sottrarre al combattimento truppe degli alleati, riuscì ad impedire pure la realizzazione ai fascisti di un vero esercito della Repubblica di Salò. E furono i bandi di arruolamento fascisti a fare dei giovani, renitenti alla leva, dei partigiani. Anche alcuni giovanissimi furono protagonisti allora, come il quattordicenne Giovanni Spangaro, staffetta partigiana. Ed anche ora giovanissimi coltivano la memoria come gli alunni della scuola di Forni Avoltri che hanno voluto dedicare un podcast agli avvenimenti della Repubblica di Carnia (forti applausi, ndr).

Ma la guerra in realtà era lungi dalla conclusione. Il proclama del feldmaresciallo inglese Alexander, del 13 novembre 1944, diretto ai patrioti, gettò gelo profondo sulle attese di una rapida liberazione del Nord Italia. La Linea Gotica resisteva e Alexander segnalava che alla campagna d’estate avrebbe fatto seguito una pausa. E proclamava: “I patrioti devono cessare la loro attività precedente per prepararsi alla nuova fase di lotta e fronteggiare un nuovo nemico, l’inverno”.

Ma i patrioti non erano di fronte al nemico, ma erano in mezzo al nemico, e la stasi nelle operazioni belliche portò a consentire duri rastrellamenti contro le forze partigiane. Il Comando per l’Italia occupata del Corpo Volontari della Libertà reagì immediatamente, preoccupato della sopravvivenza dei circa 80.000 uomini in armi presenti nelle formazioni in quel momento, precisando ai reparti che non si trattava di mobilitazione.

A questo si aggiungeva la denuncia di losche manovre per tregue o compromessi, fatta dal Comitato Liberazione Alta Italia, il 3 dicembre, contro il tentativo di indebolire la Resistenza, accampando l’esistenza di trattative sotterranee in atto. “Non c’è posto per attesisti e tanto meno per i sabotatori dell’insurrezione nazionale, per i consiglieri di patteggiamento con il nemico, perché il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia ha una sola parola. Guerra!”.

Ma il periodo da lì sino alla Liberazione è stato costellato di grandi sofferenze per le popolazioni. L’offensiva nazista, supportata da reparti cosacchi e caucasici, trasferiti al seguito della ritirata nazista da altri fronti, portò alla fine la Repubblica partigiana della Carnia, così come avvenne in altre zone d’Italia per esperienze analoghe. La condizione di terra di frontiera, area di interesse strategico per le truppe tedesche, anche ai fini della ritirata e dell’estrema difesa della Germania, si manifestò in tutta la sua complessità. La Carnia sarà l’ultimo lembo d’Italia a essere liberato e dovrà soffrire l’oltraggio di due ultime stragi, il 2 maggio 1945, a Ovaro-Comeglians e a Avasinis-Trasaghis.

Il Regno d’Italia, con l’ambigua dichiarazione dell’8 settembre 1943 e sino al cambio di fronte operato con la dichiarazione di guerra a Berlino del 13 ottobre successivo, aveva consentito l’invasione della penisola da parte delle truppe germaniche. Si era così manifestato l’intento annessionistico da parte del Terzo Reich dei territori e delle popolazioni dell’arco alpino che andavano dall’Alto Adige alla provincia di Lubiana, sottratti alla autorità del governo collaborazionista di Salò e sottoposte all’autorità militare tedesca.

La promessa di terre e beni alle truppe cosacche, utilizzate nelle azioni antipartigiane, prospettando loro la possibilità di trasformare la Carnia in una Kosakenland con l’operazione Ataman, alimentava a maggior titolo ed al contrario la difesa della identità friulana da parte della Resistenza, che seppe sfuggire anche all’intento tedesco di contrapporre, in quest’area, nazionalità a nazionalità.

Un tema che avrebbe visto la denuncia di Michele Gortani, che il presidente della Comunità di Montagna, De Crignis, ha voluto citareInsigne geologo, presidente in quel momento del Comitato di Assistenza per la Carnia e più tardi membro dell’Assemblea Costituente, Gortani fu il padre del secondo comma dell’articolo 44 della Costituzione, quello che impone e dà mandato alla Repubblica di tutelare, tra i beni importanti, la montagna (forti applausi, ndr).

L’Italia è orgogliosa del percorso compiuto in questi quasi 80 anni dalla Liberazione. Oggi, come ha sottolineato la presidente regionale dell’Anpi, storia e memoria si incontrano con le contraddizioni e le sofferenze che accompagnano gli eventi bellici. E la vocazione di pace del nostro Paese è segno che tutto questo non è passato invano.

Oggi la Repubblica, qui, in Friuli, riconosce in queste popolazioni, in Carnia, radici della nostra Costituzione, radici che alimentano la nostra vita democratica. Grazie alla Repubblica della Carnia e dell’Alto Friuli. Grazie per quanto fatto allora, per quanto tramandato, per quanto conservato oggi.

Viva l’Italia! 

Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica italiana
Ampezzo, 14 settembre 2024

Sergio Mattarella, Ampezzo, 14 settembre 2024 (trascrizione di Laura Matelda Puppini, nonsolocarnia.info)
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