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Salva-Milano? Sì, salviamola da Grattacielo selvaggio. Un appello

Salva-Milano? Sì, salviamola da Grattacielo selvaggio. Un appello

Non ci sono norme urbanistiche “confuse” o “contraddittorie”, da “interpretare” – come vanno ripetendo il sindaco Giuseppe Sala e i costruttori milanesi. Ci sono leggi fondamentali, chiare e semplici, da rispettare per garantire i diritti di tutti i cittadini.

A dirlo con forza, questa volta, è un gruppo nutrito ed autorevolissimo di urbanisti, giuristi, costituzionalisti, che l’hanno scritto in una “lettera-appello al legislatore” inviata ieri ai trenta componenti della commissione Ambiente della Camera che sta discutendo gli emendamenti al decreto “salva-casa” di Matteo Salvini, con il proposito annunciato di trasformarlo in un condono “salva-Milano”, ossia in un colpo di spugna che cancelli le numerose inchieste di Grattacielopoli aperte sull’urbanistica dalla Procura di Milano.

Tra i firmatari, il vicepresidente emerito della Corte costituzionale Paolo Maddalena, i costituzionalisti Massimo Villone, Francesco Pallante, Carlo Iannello, gli urbanisti Paolo Berdini, Vezio De Lucia, Giorgio Goggi, Alessandro Dal Piaz, Sergio Brenna, Giancarlo Consonni, i giuristi Maria Agostina Cabiddu, Corrado Giuliano, Danila Iacovelli. E poi Tomaso Montanari, architetti, geografi, ambientalisti, studiosi di scienze urbane come Lucia Tozzi, una lista così lunga che occuperebbe tutta questa rubrica (il testo integrale e tutte le firme, sul fattoquotidiano.it e qui).

Che cosa chiedono ai parlamentari? Di non andare oltre il “comprensibile obiettivo” di tutelare “gli incolpevoli acquirenti degli immobili”, senza però “alcuna sanatoria per operatori, professionisti, funzionari e dirigenti che avessero violato le leggi vigenti, le cui eventuali responsabilità vanno lasciate all’accertamento della magistratura”.

Nel percorso di approvazione parlamentare del decreto “si rischia infatti di cancellare decenni di cultura urbanistica che è alla base del necessario equilibrio fra protezione delle cose e sfruttamento delle stesse, fra la garanzia del diritto privato di proprietà e l’esercizio delle potestà pubbliche chiamate a conformarlo per assicurarne la funzione sociale, a vantaggio di tutti”.

In primo luogo, non dovranno essere manomesse e scassate le norme sugli standard urbanistici: chi costruisce può farlo, ma deve “contribuire allo sviluppo della città pubblica, che oggi si vorrebbe invece cancellare a esclusivo vantaggio della rendita urbana”. Oggi, “sulla base della cancellazione di ogni regola urbanistica e di ogni limite alle pretese della rendita, si possono realizzare ex novo o sopraelevare edifici prospicenti ad alloggi legittimamente realizzati da decine di anni (la mostruosa edificazione nei cortili è emblematica del degrado cui si è arrivati), con un danno evidente ai diritti acquisiti”.

I firmatari chiedono “perciò con forza che il Parlamento ribadisca l’assoluta inderogabilità” della legge sugli standard urbanistici, “che costituisce un minimo, non un massimo, di dotazioni di servizi e di verde necessari alla vita nelle città”. Il secondo fondamentale principio “che il Parlamento non può permettersi di smantellare”, dicono i firmatari, “riguarda l’obbligo – anche in questo caso previsto da decenni – di dover ricorrere a strumenti attuativi chiari e al permesso di costruire quando si mutano i carichi urbanistici”.

Basta con le autocertificazioni facili (le Scia). Le pubbliche amministrazioni hanno “il potere-dovere” di “tutelare i diritti di tutti e non solo quelli degli operatori immobiliari, degli investitori e degli speculatori”.

In tal senso, conclude l’appello, “anche nel caso fosse approvato, l’emendamento salva-Milano non dovrà comunque riguardare il futuro”: l’edilizia milanese e nazionale “dovrà svolgersi nel rigoroso rispetto delle leggi poste a tutela di tutti, fermo altrimenti l’intento dei sottoscritti firmatari di avvalersi di ogni strumento utile per opporsi alla preannunciata deriva, anche nella convinzione che evidenti profili di illegittimità non passerebbero indenni da una pronuncia della Corte costituzionale”.

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Il Fatto quotidiano, 12 luglio 2024
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